Appunti sulla famiglia oggi
di Dina Vallino
Pubblichiamo alcune riflessioni di Dina Vallino sulle trasformazioni che le famiglie hanno attraversato negli ultimi anni e le ripercussioni che queste hanno avuto sul lavoro degli psicoterapeuti infantili. Questi particolari “appunti” inediti – scritti tra il 2009 e il 2013 e conservati nell’Archivio Dina Vallino – offrono un interessante sguardo sulla contemporaneità delle famiglie a partire dall’orizzonte terapeutico della Consultazione partecipata.
Tratto da:
Archivio Dina Vallino II.2.6 fasc.1
2013
a) Si può vedere la famiglia come sistema, in cui, in una relazione circolare, ciascuno, piccolo o grande, influenza ed è influenzato dagli altri.
b) Si può vedere la famiglia come “la prima e più originaria formazione sociale” (art. 2 della Costituzione italiana), nella quale l’individuo si sviluppa e si perfeziona come persona umana. Si può vedere la famiglia come gruppo originario, in cui la relazione tra adulti e bambini è asimmetrica nel senso verticale: è l’adulto che ha la responsabilità dell'allevamento dei bambini, della loro cura e del conforto affettivo.
Si apre qui una domanda maggiore: la famiglia italiana è cambiata? Quali sono i problemi della famiglia oggi? Possiamo parlare di varie forme di famiglie? Più che di famiglia parleremo di famiglie.
Dagli anni '70 del secolo scorso, il lavoro di psicoanalista di bambini e adolescenti, con numerose analisi intensive – cui ho dedicato due libri: Raccontami una storia (1998) e Fare psicoanalisi con genitori e Bambini (2009) – mi ha permesso di cogliere cospicui mutamenti via via avvenuti nelle culture familiari. In particolare, rispetto al periodo storico in cui ho iniziato a praticare la Consultazione partecipata (1985), sono avvenuti mutamenti che a mio parere rendono questo modello di consulenza ancora più utile e necessario.
Mi riferisco alla comparsa di nuove configurazioni di famiglie che sono entrate in scena: famiglie adottive, affidatarie, le famiglie di immigrati, del divorzio, ricostituitesi, allargate, le famiglie sorte dalla procreazione assistita, ecc. È una tipologia assai varia, una complessità nuova del campo familiare con cui i bambini – e gli stessi terapeuti – devono fare i conti: gli elementi di instabilità nella relazione tra genitori appaiono più frequenti e gravi che non nel passato. Penso ad esempio al bisogno di sostegno che hanno i genitori dei bambini adottati o in affidamento. Penso ai figli dei separati e divorziati che hanno perso famiglia e casa e stanno con lo zainetto pronto per andare da mamma o da papà (non hanno più una casa come habitat) e che devono svolgere la funzione di partner mancante col genitore più sofferente... veramente troppo! E, quanto ai figli delle famiglie extracomunitarie, pensiamo a quanti problemi di adattamento, di lingua, di esclusione devono affrontare.
Il problema del fraintendimento attraversa tutte le famiglie odierne come una concausa del disagio familiare. Persino nelle famiglie “più tradizionali” c’è un sollecitare i figli con richieste e aspettative a volte incompatibili con i ritmi infantili. Quelli che possiamo definire “bambini campioni o bambini manager”, affollati di impegni per tutta la settimana, spesso eccellenti almeno in un campo, intenti a realizzare le attese dei genitori nei loro confronti, sono frequentemente tra i nostri pazienti. Infatti, quando le attese dei genitori non possono essere più corrisposte per il malessere che generano, il figlio inizierà a presentare sintomi di vario tipo, a seconda dell’età e del tipo di “rottura” dell’identificazione inconscia con madre e padre.
Per le famiglie in genere, è sovente necessario un lungo cammino per accettare l’aiuto di un terzo: il terapeuta. La presenza dei genitori nel setting analitico (Consultazione partecipata prolungata e Terapia individuale con collaborazione periodica dei genitori) permette di far affiorare i processi mentali più nascosti che caratterizzano la loro relazione con il figlio e, attraverso l’osservazione e il gioco condiviso di genitori e bambini, vengono alla luce molti aspetti non solo del bambino, ma anche del padre e della madre, della loro infanzia e di quelle vicende del passato che hanno influito sul loro modo di vivere la paternità e la maternità. Ne può nascere una nuova consapevolezza, sia nel bambino che nei genitori e, a volte, nelle relativamente poche sedute previste dalla consultazione partecipata, può verificarsi l’effetto sorprendente dell’affievolirsi o della scomparsa del sintomo del bambino: un mutamento che ci dà sempre da pensare. Non sempre è così, naturalmente. Molto dipende dalla gravità del malessere di cui soffre il bambino, che a volte richiede una particolare riabilitazione o una vera e propria analisi intensiva.
2011
“Alcune analisi antropologiche vedono nella famiglia non soltanto il luogo in cui si formano e si consolidano i vincoli intergenerazionali di carattere sociale, ma anche e soprattutto il luogo in cui si forma l’individualità personale, attraverso la complessa rete di relazioni che solo la famiglia è in grado di garantire… relazioni che possiedono una qualità “affettiva” a fondamento naturale. Per quanto la solidarietà familiare possa a volte rovesciarsi nel conflitto tra i membri della famiglia… il punto decisivo è che i vincoli familiari non hanno radici convenzionali, ma naturali. La famiglia libera l’uomo da una missione; di costruire se stesso e la sua rete di relazioni sociali partendo da zero… Nel relazionarci con gli altri partiamo dalla nostra identità familiare naturalmente, cioè da quell’intricato insieme di valori, cognizioni, pratiche sociali, credenze che la famiglia ci ha tramesso. La cultura familiare rafforza il soggetto. Se la famiglia morisse ne risulterebbe non la liberazione, ma la morte della persona. A una famiglia indebolita corrispondono individualità indebolite” (Francesco D’Agostino).
Se la famiglia è in-sofferenza, i figli soffrono una crisi d’identità, la quale si manifesta attraverso sintomi. Il sintomo è un grido d’allarme e una richiesta d’attenzione. Come se i figli dicessero: non posso esistere senza di te. Vi sono sistemi di intervento terapeutico che escludono i genitori dal rendersi conto, insieme al terapeuta, del significato del sintomo. Ho sentito dire, durante una trasmissione televisiva, da una psicoterapeuta che i “genitori devono essere presi in braccio”. Credo che questa sia una posizione autoritaria, che non può attenuare né la sofferenza dei figli né quella dei genitori. Padre e madre devono essere messi a confronto con i bambini e la loro crisi di esistenza. Non c’è scampo al senso di responsabilità.
2009
Crisi della genitorialità interiore
Certi genitori, a volte, sono diventati intolleranti verso i sintomi dei bambini, le hanno provate proprio tutte, dicono, hanno mostrato arrendevolezza e permissività eccessiva, oppure hanno imposto punizioni e restrizioni ma si sono accorti che con la durezza e l’impazienza, invece che ottenere dei risultati, raggiungevano un peggioramento nei rapporti con il figlio o la figlia.
Racamier ha coniato il termine maternalità, condensazione dei termini “materno”, “maternità” e “natalità”. Egli considera la maternalità come una tappa esistenziale nello sviluppo dell’identità femminile e come l’insieme di quei processi psicoaffettivi appartenenti a tutto il periodo della gravidanza e che proseguono dopo il parto. Monique Bydlowski, che ne ha portato avanti le concettualizzazioni e ha lavorato nel settore della maternità, parla di trasparenza psichica, cioè di un funzionamento psichico particolare della donna incinta, caratterizzato dall’abbassamento delle sue resistenze abituali di fronte all’inconscio rimosso, con un marcato iperinvestimento della sua storia personale e dei suoi conflitti infantili.
Crisi familiare
A volte nel corso di una Consultazione partecipata ci troviamo nel vivo di una crisi familiare, che dobbiamo imparare a distinguere dalla crisi della genitorialità interiore. È importante distinguerle. Una crisi coniugale già in atto può rendere lo scambio tra i genitori impossibile e quindi impedire il confronto dei punti di vista nell’educazione dei figli. Se la crisi coniugale e familiare non viene risolta non riusciamo a fare affidamento sui genitori per aiutare il bambino, e quindi la consultazione partecipata può fallire i suoi obiettivi.
Quando la coppia coniugale si rompe, nel senso di avviarsi alla separazione e al divorzio, riversa sui figli il proprio dissidio (diventato odio) e di conseguenza a noi analisti è richiesto di riparare l’infelicità del bambino. Il bambino/a della coppia in via di separazione accusa sintomi vari, i genitori separatamente chiedono la consulenza dello psicoanalista. Possiamo certamente intervenire con un progetto di psicoterapia o di psicoanalisi del figlio, ma non prima di aver chiesto ai genitori di “mettersi in gioco”, di esaminare le proprie responsabilità e competenze con un lavoro condiviso con il figlio e l’analista. Per loro bisogna allestire un setting idoneo, in cui i genitori possano intuire la gravità della solitudine del bambino.
Letture
AA.VV., Famiglie in-sofferenza, atti della giornata di studio tenutasi presso l’Istituto Salesiano, Milano, 1 Ottobre 2011.
Vallino D., Vecchie e nuove forme familiari, tra stabilità e innovazione, dibattito con Claudia Mancina, Dina Vallino, Stefania Vergati, “Interazioni”, 1-2002/17, pp. 109-119.
–––, La consultazione partecipata: in che modo il lavoro congiunto con i genitori e i figli illumina fraintendimenti famigliari e identificazioni patologiche, relazione nel corso seminariale 2010/2011 “Relazioni difficili: come guardare all’intreccio emotivo tra genitori e figli nella consultazione, nella educazione e nella terapia”, Centro Studi Martha Harris, Venezia, 9 Ottobre 2010, atti del convegno pp. 3-15.
–––, Famiglie in gioco: ulteriori considerazioni sulla Consultazione partecipata, intervento tenuto presso l’Università di Bologna al Convegno “La consultazione psicologica in età evolutiva”, 24 Novembre 2012.
Vallino D. e Macciò M. (a cura di), Famiglie, Quaderni di Psicoterapia infantile, vol. 63, Borla, Roma 2011.