Dina Vallino tra “I Maestri della psicoanalisi” di SpiWeb
A cura di G. Maggioni (1)
La vita
Dina Vallino nacque a Cagliari nel 1941, da madre di origine sarda e da padre piemontese. Trascorse l’infanzia in una sorta di famiglia allargata, con i nonni materni e due zii conviventi. In seguito a un fallimento economico il padre, quando Dina aveva 11 anni, fu costretto a lasciare la propria famiglia per ritornare in continente e questo distacco fu particolarmente traumatico per Dina che condivise queste tristi esperienze familiari con la sorella Fiorenza, minore di sette anni e di cui ritroviamo traccia nel particolare interesse di Vallino per la tematica del rapporto fraterno.
Gli anni della formazione universitaria
Conseguita la maturità nel 1959, Dina frequentò Filosofia a Milano, dove insegnavano Musatti e Fornari e progettò, una volta laureata, di frequentare la Scuola di Specializzazione in Psicologia. Si sposò con Marco Macciò e ebbero un figlio. Marco condivise con Dina l’orientamento e gli interessi filosofici e le teorie sugli sviluppi della mente. Questo permise loro molti anni dopo la scrittura comune di alcune opere ( Vallino D., Macciò M.2010 ) . Entrambi seguaci di Enzo Paci, si interessarono alla Fenomenologia di Husserl e in particolare al concetto di intenzionalità secondo il quale non esiste un Io in sé, come fosse una cosa: l’Io risiede nell’intenzionalità che è un tendere verso l’altro, avere coscienza di qualcosa, non poter rinunciare a dare significato. Così nel pensiero di Dina, anche il fragile e immaturo lattante possiede una sua intenzionalità che deve essere riconosciuta e rispettata dalla madre perché in lui possa insediarsi il senso di esistere.
Negli stessi anni Dina coltivò un interesse sempre più vivo per la Psicoanalisi e lesse con profondo interesse le opere di S.Freud e di M.Klein. Si laureò nel 1967, con una tesi su Merleau-Ponty. Successivamente si iscrisse alla Scuola di Specializzazione in Psicologia diretta da M. Cesa Bianchi e Musatti. ( 1967-1970). Furono gli anni del Sessantotto e della contestazione studentesca. Insieme a Anna Ferruta, Riccardo Steiner e altri studenti, Dina formò un gruppo che rivendicava più insegnamenti di orientamento psicoanalitico. Durante questi anni, Dina iniziò una analisi personale con Lina Generali e i primi tirocini di cui i più significativi furono con Zapparoli, Berrini e con Oxilia. Successivamente il lavoro, prima a Sondrio, poi a Bergamo nei Consultori medico psico-pedagogici, dove Dina ebbe l’opportunità di arricchirsi di molta esperienza clinica di consultazione e di psicoterapia.
Il contatto con numerose patologie connesse a deprivazione affettiva e ambientale la indussero a scrivere con Anna Ferruta la tesi di specializzazione sull’importanza delle emozioni per la nascita del pensiero infantile. In questo lavoro le autrici non si rifacevano solo alla teoria kleiniana ma anche ad alcune tesi di Bion, precorrendo con coraggio l’interesse per un autore ancora poco presente nel panorama italiano.
Il training psicoanalitico
Nel 1969 Dina iniziò la propria analisi con Lina Generali e nel 1974 venne accettata come candidata nella Società Psicoanalitica Italiana, nella quale si associò sul finire degli anni ‘70. A fianco della sua formazione con gli analisti della Società, e in particolare con Adda Corti, Pierandrea Lussana, Giuseppe Di Chiara, Mauro Morra, Luciana Nissim, si recò a Londra dove ricevette supervisioni da Hanna Segal, Ruth Riesenberg, Betty Joseph, Martha Harris, Edna Oshaughnessy, Esther Bick. Nel 1978 con Anna Motta partecipò con una osservazione personale al primo seminario milanese di Infant Observation, condotto da Lina Generali con la partecipazione di M. Harris e D. Meltzer. Si formò così un gruppo di analisti interessati alla esperienza dell’Infant Observation, che rappresentò un evento nella storia della psicoanalisi di quegli anni. Dina proseguirà la pratica dell’Infant -Observation come conduttore di Seminari di formazione per tutta la sua vita, non solo per gli psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana, ma anche per Istituti Universitari di Neuropsichiatria Infantile, per il corso Tavistock e presso il suo studio dove molti colleghi hanno avuto il privilegio di svolgere una esperienza osservativa, sotto la sua guida intransigente e appassionata. In quegli si arricchì anche la sua esperienza clinica, in particolare con il trattamento di bambini gravi rispetto ai quali ben presto mostrò le sue doti eccezionali di terapeuta. Purtroppo nel 1975 si manifestò per la prima volta una malattia autoimmune, che tormentò poi periodicamente la sua vita fino alla fine dei suoi giorni.
A tal proposito Dina disse : “ La malattia riporta in primo piano il fatto che, nonostante la nostra perizia o il sapere pregresso, ogni senso di sicurezza e di “ scontato “ nella vita quotidiana, viene a cadere. La malattia mi ha aiutato a sostenere, come elementi significativi della cura, la tenerezza e l’attenzione.( D. Vallino 2005)” Dina sviluppò una qualità particolare nel rispetto del paziente e di tutti coloro che vivono una condizione di fragilità nei confronti della vita.
Gli anni della maturità
Tra gli anni ‘70/ 80, il Centro Milanese di Psicoanalisi brulicava di figure di grande rilievo. Inoltre l’attività culturale era arricchita di analisti stranieri che venivano invitati allo scopo di tenere conferenze e supervisioni. La complessità del pensiero psicoanalitico che si produsse nacque da un confronto approfondito tra analisti di diverse formazioni e idee. Nel 1992 uscirà l’opera collettiva, “L’ Esperienza Condivisa”( Robutti A., 2001) che esprime la fertilità di quegli anni. Tra il 1985 e il 1987, inoltre, nella sede del Centro Milanese cominciò ad operare un piccolo gruppo di studio di analisi infantile con Antonino Ferro, Claudia Artoni, Maria Pagliarani, Giuliana Boccardi, a cui Dina Vallino contribuì assiduamente. Dal gruppo nacque, nel 1993, l’Osservatorio di psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti, promosso anche da Marta Badoni, dove reciproca era la supervisione per i casi clinici di bambini e adolescenti.
Negli anni ’90, il sodalizio intellettuale con Franco Borgogno e l’interesse comune per l’area delle identificazioni patogene e alienanti e la lettura di S. Ferenczi, portò al lavoro “Dialogo tra due analisti” dedicato alla tematica degli “spoilt children” concetto coniato dallo stesso Franco Borgogno ( Borgogno Vallino D. 2005 ). Pure di fondamentale importanza fu l’amicizia con Parthenope Bion, con la quale, dall’inizio degli anni 90 fino alla sua tragica scomparsa, Dina intrattenne un confronto sul proprio materiale clinico. In quegli anni venne via via elaborando importanti innovazioni nella tecnica della Psicoanalisi Infantile, che verrà illustrato nel paragrafo successivo.
Sempre di quegli anni, è l’acquisizione delle Funzioni di Training che testimoniano la passione per la trasmissione della psicoanalisi ma l’impegno di Dina non si giocò solo all’interno della Società Psicoanalitica ma nel costante lavoro di formazione di terapeuti di bambini e genitori nelle varie Istituzioni Universitarie e territoriali. Fu una instancabile maestra di psicoanalisi fino alla fine dei suoi giorni, nonostante la insidiosa malattia con la quale si trovò a combattere. Alla sua morte (2014), è nata una associazione che porta il suo nome, che raccoglie colleghi di diverse generazioni, e ha lo scopo di trasmettere la preziosa eredità scientifica e culturale che Dina Vallino ci ha lasciato, fecondandola di nuove esperienze.
Alcuni contributi di Dina Vallino
La ‘Storia’ di Dina Vallino (1998) è una tecnica terapeutica di lavoro con i bambini, i quali,spontaneamente, raccontano storie per esprimere i loro vissuti. Questa tecnica ha radici teoriche nell’interesse al pensiero di Bion, quale strumento di trasformazione verso la pensabilità, offre un superamento della precedente rigorosa formazione kleiniana, raccoglie esperienze cliniche acquisite da Dina stessa e ha punti di convergenza con la tecnica narrativa di Antonino Ferro. Tale tecnica aiuta a dar voce ai bambini, permettendo anche all’analista di trovare parole adeguate per raggiungerli ( Maggioni G. 2016). Non si tratta infatti dell’analista che racconta una storia al bambino ma, al contrario, è l’analista che chiede al bambino di raccontargli la sua propria storia.
In particolare i bambini sofferenti vivono intensamente esperienze e sentimenti di non esistenza, un dolore che non può essere condiviso perché ancora non ha significato e vivono imprigionati in un altrove, in uno stato di allucinosi inavvertibile dall’esterno e che impedisce il contatto emotivo. Dina chiama questo altrove“ Luogo immaginario”. La Storia che raccontano nella stanza con l’analista permette di visualizzare ad entrambi i membri della coppia questo ambiente mentale abitato dalle paure e di ‘giocarlo’ insieme. Noi possiamo così accedere al Luogo immaginario e ai suoi abitanti: questa condivisione permette di trasformare l’atmosfera terrificante in cui è immerso il bambino. La Storia finisce quando il bambino sente di meritare attenzione, quando le sue allucinazioni, persecuzioni e angosce espresse, condivise e trasformate nella Storia, possono essere nominate a poco a poco e prendere posto come “ pensieri accanto a altri pensieri”. (Vallino D,. 1998)
Significativo è l’impegno e il rigore di Dina Vallino nell’Infant-Observation. Approfondendo la metodologia di Esther Bick, e di altri autori come Ferenczi, Balint e Winnicott per l’importanza data all’ambiente, Dina (2007,2008) fu critica rispetto ad alcuni capisaldi della cultura psicoanalitica, come il concetto di narcisismo primario, di aggressività e di invidia innate e regolatrici nella relazione del lattante con la madre e della convinzione che esista un neonato sensoriale, un “ neonato dimezzato” nel quale solo in un secondo tempo si insedierebbe la mente.(Vallino D., Macciò M. 2004) Dina crede, invece, che il neonato sia fin dall’inizio dotato di una mente e per esistere ha bisogno di una madre che lo riconosca. Qui sentiamo confluire il contributo di Bion (1963) quando l’autore afferma che il pensiero narrativo ha i suoi derivati narrativi e i suoi derivati figurali, ossia segni facciali, gestuali, cenestetici, visivi, mimici che rimandano ai vissuti inconsci del bambino piccolo. Conseguentemente, l’osservazione deve essere una osservazione partecipe deve cioè utilizzare le emozioni dell’osservatore in funzione della comprensione di ciò che viene osservato. Osservare la relazione della madre con il neonato ci può permettere di imparare a distinguere quando la madre opera una incomprensione inevitabile del suo lattante, che però può essere tollerata dal bambino, dal fraintendimento grave e ripetuto, frutto di una identificazione patologica dei genitori. L’osservatore deve accordarsi con il tempo mentale della madre e del piccolo, imparando da un lato ad attendere che la scena si illumini, dall’altro ad esercitare una raffinata attenzione che gli permetta di intercettare anche minime trasformazioni. L’Infant Observation non è finalizzata a dare consigli, tuttavia l’osservatore apprende come, pur conservando la sua neutralità, può con semplici domande o commenti riportare l’attenzione della madre sul bambino. “ Se dovessi sintetizzare il mio percorso di pensiero, dovrei fare riferimento a un paradossale salto dall’osservazione puntuale e il più possibile vicina alle influenze dell’ambiente e della famiglia sul soggetto, a una posizione del tutto eccentrica rispetto all’osservazione piuttosto visionaria e immaginativa.” (Vallino, 2005:8) Inoltre, la capacità di immergersi nell’atmosfera emotiva familiare ( voci, movimenti, sguardi, tonalità sonore che producono anche sensazioni fisiche nell’osservatore), permette di intercettare i fraintendimenti presenti e di come lo sguardo, possa svolgere una funzione di contenimento, favorendo per esempio la possibilità per la madre di ‘vedere il proprio bambino’ e per l’osservatore sviluppare un’attitudine ad una comunicazione adeguata al contesto.
La Consultazione partecipata
Attraverso questa lunga esperienza, Dina Vallino pensò di estendere alcune caratteristiche dell’Infant Observation alla consultazione bambino genitori e chiamò questo nuovo tipo di lavoro, “Consultazione partecipata.”(Vallino D.2009) La Consultazione partecipata prevede che il terapeuta incontri i genitori una prima volta da soli e poi alternativamente insieme al bambino, secondo un preciso setting che è stato ampiamente illustrato. (Vallino D. 2009) Dina Vallino ha aperto le porte della sua stanza di analisi ai genitori i quali, divenendo osservatori partecipi della relazione tra sé stessi e il figlio, possono accorgersi del loro fraintendimento e delle loro attese incongrue. Non si tratta solo di tecnica ma di una esperienza che si radica nei vissuti di ciò che noi siamo e siamo stati. E’ nella nostra infanzia che abbiamo conosciuto i primi fraintendimenti ma, se abbiamo imparato a riconoscerli, essi possono diventare l’ingrediente di una rinnovata attenzione adulta ai bimbi e ai loro genitori. Nel cuore della Consultazione partecipata vi sono le sedute congiunte e il successivo colloquio con i soli genitori.
Nella stanza con genitori e figli, già dalle prime battute, da alcuni silenzi, imbarazzi, occhiate fuggevoli possiamo cogliere l’atmosfera familiare. Spesso abbiamo l’impressione che i genitori non sappiano parlare con il bambino per capire che cosa prova ma parlino del bambino quasi come se non fosse presente. Altre volte sono pieni di attese nei confronti del figlio, ed esercitano una certa pressione perché si mostri bravo ed adeguato, assumendo una posizione direttiva nel gioco, e sostituendosi al bambino, altre volte al contrario non riescono a giocare con lui. La nostra funzione allora consiste, attraverso interventi semplificanti la complessità, dare voce al bambino permettendogli lo sviluppo di una rappresentazione. Succede di sovente che, al termine di una seduta particolarmente difficile ed enigmatica, il bambino riesca con un disegno, con un gioco o una storia a rappresentare in modo sorprendente la natura del fraintendimento familiare e a mostrare la propria sofferenza.
La Consultazione partecipata può essere anche soltanto preventiva per evitare che un disturbo reattivo per effetto del fraintendimento possa degenerare in altra patologia. Oppure, se il fraintendimento è grave e complesso, la Consultazione partecipata diviene allora una sorta di introduzione ad una terapia e permette di avvicinare un’altra possibilità di funzionamento della mente e la speranza di dare senso ai sintomi e alla sofferenza mentale.
(1) Ringrazio Marco Macciò per la preziosa rilettura del testo.
Nota bibliografica
Dina Vallino (1941-2014) Psicoanalista con funzioni di Training, appartenente al Centro Milanese di Psicoanalisi, ha espresso un pensiero creativo e coraggioso. Dina Vallino ha svolto un incessante e appassionato lavoro di psicoanalista con bambini e genitori sviluppando preziose innovazioni nella teoria e nella tecnica, talvolta espresse con uno stile evocativo e poetico. La sua attività svolta nel profondo rispetto della sofferenza umana è stata permeata da una intensa valenza etica.
Bibliografia
Associazione Dina Vallino http://associazionedinavallino.it
AA.VV( 2001) L’Esperienza Condivisa ( a cura di Robutti A.) R.Cortina, Milano
AA.VV (2017) Una mente a più voci sulla vita e sull’opera di Dina Vallino ( a cura di Borgogno F., Maggioni G.) Mimesis, Milano
Borgogno F., Vallino D. ( 2005) << Spoilt Children>>: un dialogo tra psicoanalisti. In Quad. Psicoter.Inf.,52, Borla, Roma
Maggioni G. ( 2016) Una Storia raccontata. Fare psicoanalisi con Dina Vallino. Mimesis, Milano
Vallino D. ( 1998) Raccontami una Storia. Dalla consultazione all’analisi dei bambini. Borla, Roma
Vallino D. Macciò M.(2004) Essere Neonati. Borla
Vallino D. ( 2005) Autobiografia. Inedito.
Vallino D.( 2009) Fare Psicoanalisi con Genitori e Bambini. Borla
FONTE:
https://www.spiweb.it/spipedia/dina-vallino-cura-g-maggioni/