Pensieri intorno al Sé

di Dina Vallino

 

Presentazione

Pubblichiamo una pagina inedita di Dina Vallino, scritta nel 2010. Si tratta di un appunto di pensieri in fieri sul Sé: nella sua esperienza pratica è opportuno che il terapeuta - in diversi casi di lutto infantile - rinunci a occuparsi del lutto, nel corso del primo periodo dell’analisi, per prendersi cura di ciò che interessa al bambino nella sua vita quotidiana, acconsentendo a ciò che lui sembra chiedere: non accennare alla morte della madre, fare come se l'evento non fosse avvenuto.

Nella pagina inedita Vallino afferma che è indubbiamente importante che l’altro mi riconosca nella mia esistenza, ma essendo la mia esistenza, essa è comunque importante per me.
Se l’ambiente è molto negativo e una persona cresce collerica, non si tratta di una difesa da abolire, ma è un punto di partenza da accogliere. Si tratta della sua personalità autentica: ha volto a suo vantaggio ciò che era negativo, vuole continuare a vivere e può farlo come persona collerica. Potrà imparare a cavarsela nelle varie vicissitudini della sua vita. Se andrà in terapia, questa deve partire dalla accettazione del suo Sé. 

Quanto al lutto infantile, Vallino sembra dire che non è esatto pensare che una bambina in lutto, che ha in pochi giorni dimenticato la madre, si stia difendendo con la rimozione, dalla identificazione melanconica e da un angoscia di morte troppo forte. Al contrario forse c’è in lei anche un piccolo inconscio pensiero che dice: io comunque sono viva. I famigliari quindi dovrebbero impegnarsi a farle sentire che loro sono contenti che lei sia viva e interessarsi delle cose che fa, continuando a fare ciò che forse facevano con lei anche prima. La fiammella dell’amore di Sé potrebbe in tal modo essere alimentata, invece che colpevolizzata e spenta, coinvolgendola nel dolore del lutto degli adulti. Vallino perviene ad affermare che se il bambino non vive il dolore è un processo vitale.  Sembra arrivare a dire che non è una bizzarria se un bambino rifiuta la melanconia, inconsciamente o preconsciamente pensando: io comunque sono vivo.

Per chi volesse approfondire l’argomento consigliamo: “Muore un genitore di un bambino: percorsi del lutto infantile” (2004) in “Fare psicoanalisi con genitori e bambini” (ed. 2009 p. 181; ed. 2019 p. 179). Inoltre si occupano dello stesso tema, in “Raccontami una storia”, le prime 6 pagine del  capitolo sesto: “Come va a finire la storia di Kate?”.

 
 

Il bambino vive degli spazi mentali tipici suoi in cui il suo sviluppo non è uno sviluppo unilineare prodotto da atti adeguati uniformi dei genitori, ma c'è una peculiarità, una genialità dello sviluppo, per cui può volgere a suo vantaggio ciò che è negativo, e diventa capace di difendersi da un apporto ambientale molto negativo, in modo da mettere un no entry. Potrebbe diventare un collerico, irascibile, un trasgressivo. Intanto sviluppa la sua personalità autentica e potrà sempre trovare nel suo percorso altri soggetti che lo appoggeranno e aiuteranno. C’è anche una genialità nello sviluppo dell'individuo che non viene riconosciuta e non si sottolinea il senso di esistere come qualcosa che non deriva (soltanto) dal fatto che l'altro è “buono” e quindi lo accolgo dentro di me, ma l'altro è importante (soprattutto) perché mi riconosce nella mia esistenza, dato significativo per il mio vivere e strutturarmi. Il fatto che io possa strutturare un senso di esistere, che è la base poi per il senso di identità, è una cosa diversa dal fatto che il senso di esistere si sviluppa nella relazione con l'altro. Certamente il senso di esistere si sviluppa nella relazione con l’altro, tuttavia ha anche una sua autonomia. Altrimenti una storia infelice, traumatica, non potrebbe reggersi (a lungo). Si pensa solitamente per quei bambini, che vengono portati in terapia per un lutto, che forse rifiutano di identificarsi con la madre morta poiché l’ambiente non li aiuta. Ci saranno tutte queste componenti però una componente essenziale è questa: la morte della madre rischia di significare che “muoio anch'io”, perché per il bambino la madre è molto importante, di conseguenza per sfuggire alla identificazione melanconica il bambino evita di vivere il dolore. È un processo vitale, poi potrà viverlo piano piano. Intanto bisogna fargli sentire che lui è vivo, la vita c'è, è importante come persona viva. Il padre di . . pur nella sua rozzezza dice, insomma la vita deve continuare, anche un modo per sfuggire alla sua disperazione: si arrabbia con la suocera perché è sempre piangente, ma lui che è il padre deve dargli un po’ di vigore.

Indietro
Indietro

Essere neonati

Avanti
Avanti

Famiglie in crisi – B. Friia e F. Di Cesare