La “leggibilità” dell’Immaginario e il ruolo dell’analista
di Dina Vallino
Tratto da:
Archivio Dina Vallino
1999-2000
Escher, come è noto, ebbe a dire che la rigorosa osservazione della realtà lo aveva condotto sino ad una serie di fantasie prospettiche, con l’intento di far percepire i limiti e le ambiguità delle nostre capacità osservative. Come analista, non considero fino in fondo la destabilizzazione del mio mondo se mi metto a lavorare senza prendere le distanze anche da ciò che ritengo più opportuno, come il fatto di stabilire i miei limiti, le mie regole, le mie procedure per vivere in uno spazio di sicurezza. Il setting è uno spazio e un tempo con un protocollo che va conquistato con ogni paziente. Stabilito che lo psicoanalista non può entrare nel mondo interno dell’altro, ma può partecipare di un campo emotivo comune, “cintato” da regole, allo scopo di preservare comprensione rigore, onestà e compassione, mi sembra molto importante riflettere sul fattore destabilizzante di questa osservazione di campo. Noi vogliamo il setting come spazio di sicurezza e di confine; dobbiamo invece divenire consapevoli della relatività della nostra stessa cornice. L’immagine di uno spazio destabilizzante io lo assumo come un paradigma per inquadrare il dilemma insito nell’osservare da più punti di vista, e quindi anche dell’identificarsi con l’altro.
Riconsidero adesso una immagine di Escher così come ci viene proposta: si tratta di uno spazio immaginario in cui tra i due mondi, dentro e fuori dalla cornice, si stabilisce una relazione di continuità. La delimitazione data dalla cornice viene a cedere, per lasciare posto a uno spazio nuovo, ma tuttavia prospettivamente costruito – non informale, non impressionistico – ma semmai surreale: uno spazio onirico. Questo mi obbliga a subire mentalmente un vorticoso giro prospettico che mi fa ritrovare il significato di quel debordare del quadro dalla cornice. Se accettiamo la premessa che noi psicoanalisti – come lo spettatore a sinistra che osserva i quadri nella galleria delle stampe – siamo esposti al debordare dell’esterno (la cittadella all’interno del quadro) e dell’amalgamarsi l’uno sull’altro del nostro interno sull’esterno, dobbiamo accogliere la tesi della particolare funzione destabilizzante di quell’apparato che vogliamo come spazio di sicurezza e di confine. Il risultato è una destabilizzazione della realtà percepita come esterna, a favore di una percezione che cerca la continuità tra interno ed esterno.
Lasciandoci portare dentro il quadro scorgiamo che, accanto alla costruzione prospettica tradizionale, vi è una calcolata serie di torsioni della superficie. La superficie del quadro sembra elastica, tirata in varie direzioni: lascia debordare l’esterno nell’interno, in modo tale che l’effetto sia del tutto destabilizzante.
Allorché il mondo perde minacciosamente per il bambino e per il terapeuta la sua leggibilità usuale, qui lo psicoanalista deve essere presente come persona in quel groviglio e in quel vuoto. Quel punto del quadro in cui Escher appone la sua firma – che è un punto vuoto, quasi un buco – anche lo psicoanalista deve includerlo nella sua visione del setting: una posizione, questa, che ci porta ad essere più consapevoli della nostra stessa cultura, ideologia, stile personale, della “firma” che apportiamo nell’analisi proprio nei momenti più contratti, difficili e catastrofici.
Come analisti noi possiamo dare un habitat, un luogo ai vissuti che i bambini e gli adulti ci portano solo se ritroviamo in noi stessi un pensatore che ispira a questi bambini parole per raccontare ciò che vivono. L’equivocità del significato dell’immaginario mette l’analista nella necessità di cercare di costruire un significato con il paziente, senza semplicemente aspettare che il paziente comunichi il proprio. L’analista ha il compito non solo di approfondire le regole dell’invenzione, ma far capire cosa succede quando la regola non è rispettata. Questo tipo di riflessioni sulle trasformazioni del Luogo immaginario contribuiscono a creare un confine tra ordini di realtà, delimitandoli.