Perché il Luogo Immaginario?
di Dina Vallino
Pubblichiamo alcune riflessioni di Dina Vallino sul tema del Luogo Immaginario, appunti che seguono di qualche giorno il Convegno “La storia e il Luogo immaginario nella psicoanalisi e psicoterapia dei bambini e adolescenti” tenutosi presso l’Istituto Salesiano di Milano il 23 Ottobre 1999 [1].
Tratto da:
Archivio Dina Vallino II.3 fasc.16
1999
Perché ho sentito l’esigenza di organizzare questa giornata? L’idea iniziale è legata al nostro gruppo: volevo manifestare gratitudine alle colleghe che hanno lavorato con me. Le loro storie con i bambini mi avevano aiutato a sviluppare una concezione nuova, una tecnica nuova. Volevo dare spazio a loro.
Ma c’è qualcosa di più che deriva dall’idea che alla creatività dei bambini, allo sviluppo sano, non è stata data sufficiente attenzione. Mi sembra che ci siano persone che non guardano, non sentono i bambini perché sono troppo occupate con le cose che devono dire loro, senza ascoltarli. Non mi muovo contro questi terapeuti, ma per loro, ovvero a favore di qualcosa, di un percorso, di un metodo, che non c’è mai del tutto ed è ancora abbozzato.
Stare nel Luogo Immaginario
Le condizioni mentali dei bambini si esprimono con l’immaginazione, più o meno esasperata a seconda che sia più o meno aderente alla realtà. Io lascio che il bambino porti all’estremo le sue fantasie persecutorie. L’unica cosa che devo fare per aiutarlo è sviluppare fino in fondo la condizione fantastica in cui si trova, quasi fosse quella di una “stregoneria” che lo minaccia. Sviluppando nel racconto l’estremizzazione del problema, posso fare avanti questioni di buon senso: posso mostrare che c’è anche la giustizia, il diritto, i poliziotti che possono proteggerlo; posso cioè far nascere, attraverso le domande, un dubbio sulla pericolosità di questo o quel personaggio, su una situazione, etc.
Tutto questo non posso farlo direttamente o dall’esterno, ma posso farlo a partire da un’opzione di partenza che è l’accettazione del Luogo Immaginario in cui accadono tutte queste cose. Ritengo che inizialmente non si possa partire dal ‘buon senso’, ma solo dalla situazione in cui il bambino si trova [2].
Il mio obiettivo è quello di aiutarlo a sviluppare l’idea che la tranquillità viene dalle persone che lo proteggono, come in primo luogo i genitori; se non riesco in questo, il bambino non riesce a sfuggire alla persecuzione. Intorno al bambino in molti gli parlano in base al buon senso, ma questo non lo aiuta minimamente, anzi a volte acuisce, peggiora la situazione, perché per lui il pericolo esiste realmente, anche se tutti gli dicono che “Non ci sono le streghe!”, “Se stai attento le siringhe non ti feriscono”, etc.
Se lo scopo è dunque quello di arrivare a uno stato di cose dominate dal buon senso, ebbene non si può portare il bambino precocemente a fare ciò. Bisogna attendere il momento opportuno. Se il bambino si sente vittima di un incantesimo, per uscirne deve prima arrivare a conoscere l’incantesimo, esplorare cioè il luogo in cui l’incantesimo avviene.
Luogo Immaginario e Mondo interno
Lo sviluppo del Luogo Immaginario permette al bambino di dare una versione autobiografica ai suoi problemi. Per essenza il Luogo Immaginare è lo spazio delle proiezioni, con cui automaticamente releghiamo fuori di noi ogni spiacevole contenuto della nostra mente, dando per scontato che certi tipi di sentimenti non appartengano a noi, ma a qualcun altro. La proiezione è perciò la prima forma di rassicurazione contro i pericoli che minacciano il sé dall’interno. Noi tendiamo a localizzare le persone che non ci piacciono e che odiamo in un luogo sicuro, dove possano essere un bersaglio o da cui possiamo difenderci.
Quest’interpretazione soggettiva dell’esperienza vissuta costituisce la base del sentire immaginativo in cui le percezioni vengono riconosciute, ma sono interpretate in modo errato. Il localizzare le emozioni pericolose ha molte conseguenze: la creazione di un Luogo Immaginario, spazio del sé dove sono possibili tutte le proiezioni di oggetti magnifici e minacciosi. Perciò nel Luogo Immaginario sono spinti profondamente, dentro i personaggi, elementi personali che vengono però raffigurati con una distanza dal Sé. Voglio specificare che il Luogo Immaginario si differenzia dal Mondo Interno (della Klein) dove si realizza l’introiezione di rapporti oggettuali che forniscono sostegno al bambino. Questa introiezione dà luogo a Identificazioni che comunque, a un certo stadio della vita, soffocano il Sé, cosicché per uscirne si ricorre al Luogo Immaginario.
Elemento essenziale del mondo interno è che in esso non si percepisca allarme, disgusto o minaccia all’idea di ‘entità aliene’ esistenti dentro di Sé, per due motivi: (i) perché il risalto dato alla relazione d’amore presente verso questi oggetti allontana l’idea di ogni ostilità, danno e dolore provenienti da loro; (ii) oppure perché vi è una connessione veritativa tra l’esperienza avuta e gli oggetti interni cattivi.
Il Luogo Immaginario e l’Arte
Veniamo poi alla questione del rapporto con l’arte. Questo è il progetto sotterraneo della giornata, quello che ho inconsapevolmente costruito.
L’impulso essenziale della poesia è di dissipare la paura verso gli oggetti interni. La sorgente del Luogo Immaginario si trova nella profondità del mondo interiore. Anche qui però, il Luogo Immaginario non è il mondo interno. La sua origine si perde nelle tenebre del passato; il suo punto d’arrivo nell’oscurità del futuro. La sua evoluzione è organica, logica, inevitabile come quella delle fiabe.
Qualche volta ho pensato che la psicoanalisi in generale fosse troppo debole rispetto all’arte. Dovevano passare diversi anni prima che io arrivassi, con i sentimenti e col pensiero, all’idea che i fini e i mezzi della psicoanalisi e dell’arte sono essenzialmente e storicamente diversi, ma ugualmente grandi e ugualmente forti. Nell’arte si manifesta una creazione secondaria di un mondo dentro il quale risultano credibili i più stravaganti accostamenti: il nascosto, il tempo, l’inquietante, possono materializzarsi e portarci a scoprire l’evocazione di un mondo popolato di presenze inquietanti, quelle appartenenti alla notte della mente.
Penso alla pittura di Enrico Benaglia (oli, tempere, ritagli), a quelle figurine leggere e vaganti, nascoste dietro armadi, orologi, specchi o sedie a dondolo, come nella serie dei “ritagli” – angeli, uccelli, animali, stelle e quant’altro, ritagliati nella carta dei quaderni a quadretti. Se prendiamo la serie de i Castelli Dimenticati, i Castelli in aria, il Castello con galassia, il Concerto nel castello, i Castelli che si accartocciano intorno ai loro abitanti, questi luoghi immaginativi ci portano a considerare sia la “prigione” dei bambini nei loro sintomi, sia a mettere in questione le nostre fortificazioni interne, le nostre “difese”, i bastioni che abbiamo eretto sperando di realizzare la perfezione.
I Personaggi del Luogo Immaginario
Qual è la natura dei personaggi che incontriamo nell’esplorazione del Luogo Immaginario con i nostri pazienti bambini? Troviamo personaggi che esprimono i fantasmi interni del bambino, come anche personaggi “commutatori”, espressione degli inviti dell’analista, tentativo di mostrare nella storia la possibilità di una configurazione e un esito differenti.
Ma più in generale io penso che i personaggi del Luogo Immaginario siano personaggi in cui prevalgono gli elementi autobiografici, immaginari, dovuti sia al desiderio di realizzare qualcosa nuovo, sia alla minaccia di ritornare sempre nella condizione di partenza. Da qui la mia richiesta che il nome del personaggio non sia quello del bambino, e che egli non parli mai dicendo “Io…”, ma si sforzi di parlare in terza persona. Per cui cerco di realizzare una distanza del bambino dal personaggio, perché attraverso lo sviluppo di questa distanza il bambino può permettersi di buttare nel personaggio elementi autobiografici.
Note
[1] I lavori presentati durante la giornata vennero raccolti da F. Borgogno e A. Ferro in La storia e il Luogo Immaginario nella psicoanalisi e nella psicoterapia dei bambini e degli adolescenti, Quaderni di Psicoterapia Infantile n. 41, Borla, Roma 2000.
[2] La mia riflessione nasce dall’osservazione di bambini più gravi dove non è possibile affrontare l’analisi soltanto con il linguaggio dell’introspezione e dell’osservazione, in quanto il bambino non lo riconoscerebbe come proprio. Sono bambini che non arrivano a ritrovarsi soggetto della propria realtà psichica. Quando la accettano, è spesso per compiacenza o per un rapporto di identificazione con gli adulti, genitori ed analisti. È solo quando il bambino sente necessario ed utile parlare di sé che il pensiero di tipo adulto diviene a propria volta necessario, ma questo non è possibile all’inizio. Per certi bambini il disturbo mentale consiste in qualche specie di silenzioso stato di allucinosi, quasi impercettibile all’osservatore, che li trasporta appunto in un luogo immaginario.
Per certi bambini il disturbo mentale consiste in una sorta di silenzio e in un inavvertibile stato di allucinosi che li trasporta in un altrove rispetto allo stato emotivo del momento (ed è questo il motivo per cui spesso sembrano irraggiungibili), come se fossero chiusi in un luogo immaginario.
È necessario allora per entrambi (bambino e psicoterapeuta) scegliere la via per visualizzare questo ambiente mentale e per certi versi per “giocarlo” insieme. La mia ipotesi è che nel bambino si muovano emozioni troppo fragili, che non gli permettano di riconoscere ciò che appartiene al sé o all’altro, al mondo interno o a quello esterno. Con la visualizzazione del Luogo Immaginario queste emozioni vengono trasposte in un altrove e, poiché sono allontanate a una distanza di sicurezza, possono cominciare ad essere pensate.
Letture
Vallino D. (1999), Introduzione a F. Borgogno e A. Ferro (a cura di), La “storia” e il “Luogo immaginario”, “Quaderni di Psicoterapia infantile”, vol. 41, Borla, Roma 2000, pp.9-16.
–– (1998), Le Storie e il Luogo Immaginario nella psicoanalisi dei bambini, in A. Ferruta, P.R. Goisis, R. Jaffé, N. Loiacano (a cura di), Il contributo della psicoanalisi nella cura delle patologie gravi in infanzia e adolescenza, Armando Editore, Roma 2000, pp. 48-62.
–– (1997), Come va a finire la storia? De te fabula narratur (su una psicoanalisi con la storia), in C. Brutti, R. Brutti (a cura di), Immagini, storie e costruzioni nell’analisi del bambino e dell’adolescente, “Quaderni di Psicoterapia Infantile”, vol. 36, Borla, Roma 1997, pp. 17-46.