Sul fraintendimento

di Dina Vallino

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Pubblichiamo alcune riflessioni di Dina Vallino che, partendo dal fraintendimento primario, giungono fino al tema dell’identificazione proiettiva patologica, gettando luce sulla distinzione tra trauma e fraintendimento, come anche sul delicato rapporto tra comunicazione e comprensione reciproca fin dalla prima infanzia. Queste tematiche sono analizzate da vicino nel contesto dell’Infant observation e della Consultazione partecipata. Lo scritto è conservato con il titolo “Dialogo sul fraintendimento” e risale a Marzo 2011.

Tratto da:
Archivio Dina Vallino III.1.1 fasc.19
2011

Sul fraintendimento

Leggendo le riflessioni di alcuni colleghi che mi hanno inviato un loro elaborato, mi sembra che il tema base delle loro considerazioni riguardi l’evento dell’incontro per il bambino e i genitori. Per quanto riguarda il bambino, Barbara G. scrive: “L’incontro con un bambino deve essere davvero un incontro per lui positivo, a sua misura, che rispetti la sua persona, lontano da intrusioni, da discorsi che lo riguardano e che possano sembrare giudicanti”. Ella pensa di aver ricevuto insegnamenti dai bambini quando si è ritrovata a parlare direttamente con loro e con i loro genitori: ha potuto constatare che il bambino è e si sente un interlocutore valido quanto più lo si tratta come tale e cioè viene riconosciuto come persona, nel suo pensiero e nei suoi sentimenti. In secondo luogo la richiesta di terapia per il loro bambino da parte dei genitori – secondo Barbara G. – può sottendere una loro rinuncia al proprio ruolo; una grande rabbia e tanti altri sentimenti di cui è bene accorgersi ed occuparsi fin da subito in un lavoro congiunto. Il Dr. A. a sua volta rileva che, nella rete di assistenza, troppo spesso si ritengono infondate le convinzioni del genitore e, soprattutto, inesistente il pensiero del bambino.

A mio avviso, soprattutto quando si ha a che fare con bambini che soffrono di malattie gravi, il fraintendimento può annidarsi nell’accorgersi che la malattia cambia la vita dei genitori e della bambina. Bisogna sempre orientarsi a cercare la bambina perché il rischio è di vedere solo la malattia senza bambina. La voglia di vivere, di giocare, di essere amata, il risentimento sono stati della mente visibili nella bambina, ma non nella malattia.

1. Il fraintendimento non è un piccolo trauma

Nella mia concezione pongo una differenza tra fraintendimento e trauma. A me pare che il fraintendimento sia alla base della comune difficoltà a comprendersi. L’attenzione al fraintendimento è alla base dell’ermeneutica di Schleiermacher, il quale sostiene che generalmente la comprensione del discorso altrui (scritto o parlato che sia) si basa sul presupposto che nella comunicazione non è l’intesa, ma l’estraneità a dominare.

Pertanto l’interpretazione cerca di pervenire alla comprensione superando l’iniziale fraintendimento. La parziale estraneità del testo ha la sua radice nella oscurità del testo e dell’interlocutore, la quale è dovuta alla diversità degli individui, ma anche alla storicità: sia dell’opera, che del linguaggio da interpretare, che dell’interprete. Per questa ragione pensatori più recenti (Dilthey, Heidegger, Gadamer) hanno riconosciuto che nella interpretazione riveste un luogo centrale la nozione di “circolo ermeneutico”: per sua natura infinito, perché riaperto da ogni elemento nuovo che la storicità presenta al progetto ermeneutico di partenza. Ciò costringe il pensiero umano a fare i conti con la sua finitezza e provvisorietà.

Drammatico è il fraintendimento del bambino piccolo quando è reiterato da parte della madre. Il fraintendimento è intrinseco alla relazione affettiva amicale e di cooperazione (positiva). Non sto parlando di relazioni di odio, aggressività o distruttività. Il trauma non è intrinseco a una relazione positiva; invece il fraintendimento sì. Esso non è un piccolo trauma, poiché è intrinseco a una relazione positiva.

Col concetto di fraintendimento, e la sua declinazione nella Consultazione partecipata, si supera l’atteggiamento di colpevolizzazione dei genitori. Con lo sgretolamento della posizione freudiana e kleiniana (quanto all’origine intrapsichica del sintomo) si perviene sull’orlo di una crisi di nervi a motivo della conseguente colpevolizzazione dei genitori. Se la configurazione della responsabilità ambientale si impone, i genitori risultano implicitamente accusati di essere causa della sofferenza, del sintomo e del disagio dei figli. Decenni fa i genitori venivano esclusi dal lavoro analitico in base a una teoria che li deresponsabilizzava; oggi, con l’avanzare della eziologia ambientalista, il rischio è che li si escluda e tenga lontani dal lavoro analitico con il bambino perché ritenuti colpevoli della sua sofferenza e del disagio. Invece, tramite la categoria del fraintendimento, mentre si sottolinea la responsabilità dei genitori, allo stesso tempo si dichiara che esso è implicito in ogni relazione e quindi, di fatto, li si aiuta a recuperare un legame di comprensione con il figlio.

2. Sul fraintendimento primario

Possiamo interrogarci sul tema dell’origine del fraintendimento. Quanto alla relazione con i bambini, in Consultazione partecipata, il fraintendimento può riguardare esperienze antiche, primarie. L’Infant observation mostra che esso è fortemente in opera già nella relazione della madre col lattante. La comprensione di un bebè da parte di un adulto è un atto particolarmente complicato.

Gli studi sullo sviluppo infantile di Infant Observation e Infant Research presentano molti esempi di comunicazione non verbale nei primi scambi di sguardi tra madre e neonato. Autori diversi hanno osservato che il bambino piccolissimo, dal momento che dipende dalle risposte di lei, guarda negli occhi sua madre per sentirsi confortato: preso in braccio o accudito.

L’ esperienza osservativa mostra che in qualsiasi coppia madre-lattante non può non presentarsi qualche modalità di fraintendimento primario: quando lo stato interiore del bambino, e parimenti il messaggio, permane oscuro per la madre, questa più facilmente si mostra frettolosa nel proporre soluzioni oppure nell’evacuare sul bambino la sua angoscia [1]. Generalizzando, potremmo dire che non può non accadere che la madre operi in ritardo nella comprensione del suo lattante.

Reciprocamente il lattante sano appare, come mostra l’esperienza osservativa, quasi sempre in grado di tollerare la difettosa risposta materna, quando viene riparata dalla madre, ed egli appare di solito pronto a dimenticare [2]. Il non essere capito immediatamente, dunque, fa parte della vita e non annienta nel lattante la sua capacità di riprendersi e di presentare nuove comunicazioni preverbali o comportamenti a lui peculiari, intesi a ristabilire il rapporto. Pertanto il fraintendimento, inevitabile, può essere periodicamente superato.

3. Stati interiori materni che aggravano il fraintendimento

Il fraintendimento primario durevole e ripetuto, che possiamo attribuire a una debolezza della reverie materna (Bion), può essere ulteriormente ricondotto a una incapacità della madre di vedere il suo lattante non semplicemente come un essere che ha bisogni, ma come una persona; ovvero un essere che ha una intenzionalità comunicativa e vive dei veri e propri sentimenti.

Il bambino ha diverse informazioni da comunicare alla madre sul proprio stato reale, mentale e affettivo; se la madre ritiene il suo bimbo una persona, potrà affidarsi a ciò che il bambino le fa capire, non solo che è sporco, che è bagnato, che ha fame, ma anche che vuole essere preso in braccio, si sente solo, ha dei sentimenti. In questo caso, osservandolo con amore, con pazienza, come persona, la madre si accorgerà che, benché senza parole, il suo bambino sa farsi capire. Al contrario se il buco di comprensione materna diventa parte del mondo del bambino, ineluttabilmente, egli pagherà un prezzo. Si è osservato che una durevole mancanza di risposta da parte della madre produce dapprima ansia e poi depressione nel lattante; se la madre non risponde allo sguardo il bambino piccolo può continuare a piangere sino ad addormentarsi. Il fraintendimento primario diventa pesante quando la madre non ha idea che il suo bambino sia una persona [3]. E aggiungo che, quando il genitore non è in grado di riconoscere la persona del suo bambino, cioè non possiede la pazienza di osservarlo per comprenderlo nelle sue spesso non evidenti manifestazioni personali, ciò accade poiché la sua mente si sente spinta in direzione opposta: a impadronirsi e installarsi nella mente del suo bambino. Il fraintendimento, l’obliterazione del bambino come persona, diviene il prodotto di una identificazione proiettiva patologica.

Note

[1] Chiara Cattelan scrive: “Le madri, se non sapessero riconoscere spontaneamente gli slanci amorosi (del loro bambino) e non li ricambiassero, inficerebbero per sempre la capacità della persona di abbandonarsi fiduciosa all’altro e di appartenere (...) Vedere il neonato con un suo desiderio significa riconoscerlo capace di proto-rappresentazioni costituite dalla memoria prenatale e da un’idea di futuro. Il piccolo dell’uomo ci appare così preso, fin dall’inizio, tra nostalgia e speranza come tratto umano distintivo e durevole nel corso della vita” (p. 114-5, 2007).

[2] Riparazione materna è espressione usata nel campo dell’Infant research, in particolare da Tronick, ma essa è comparsa dapprima in psicoanalisi come contenimento in Bion (1962) e come riparazione dell’angoscia in Winnicott (La sede dell’esperienza culturale, 1967).

[3] Piero Schlesinger evidenzia che sin dalla nascita l’individuo è persona. Il neonato infatti non può sopravvivere da solo, ma è nella ricerca di una relazione da cui dipende per sopravvivere anche mentalmente. Il concetto di persona da spazio a quell’aspetto, necessariamente riconosciuto ed ammesso, della relazionalità, in dipendenza del rapporto con l’Altro e con gli Altri” (Unicità ed irripetibilità della persona umana ed essenzialità della relatio ad alteros per la sopravvivenza dell’individuo).

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