Adriana Anderloni: Essere bambini con paralisi cerebrale

Progetto per ostacolare l'esondazione della patologia nei territori di vita

 

Il mio gruppo nell’Istituzione lavora da anni a una modulazione dell’approccio riabilitativo al bambino affetto da paralisi cerebrale. In particolare abbiamo avvertito la necessità di restituire significato alle emozioni e alle angosce profonde legate al danno precoce, al fine di comprendere meglio disordini e complessità di difficile interpretazione e incerta prognosi.

Ci sembravano determinanti le modalità di relazione che s’instaurano fin dai primi momenti della presa in carico terapeutica tra famiglia ed équipe curante, tra genitori e bambino, tra bambino e il suo corpo (Fedrizzi et al. 1985; Anderloni et al. 1986).

geroges de La Tour, bambino con candelaE ancora la possibilità del bambino di mantenere nella mente sentimenti dolorosi ci appariva fondamentalmente legata alla possibilità per i genitori di entrare in contatto con quelle stesse parti, condividerne la sofferenza e trovare le parole per darvi un nome.

Si ipotizzava infine un’équipe curante capace di includere uno spazio e un tempo in cui l’esperienza dolorosa della malattia non viene negata o dispersa nei provvedimenti clinico riabilitativi, ma può acquisire significato autobiografico per il genitore, con il proprio bambino interno e col proprio bambino reale (Zuccarino, Anderloni et al. 1988).

Successivamente mi sono avvicinata a una forma di Estensione dell’Infant Observation, definita “Consultazione Partecipata” (Vallino 2002; 2004, 2009) che ha assunto, nel mio lavoro, una particolare pregnanza nel contribuire alla cura del bambino affetto da paralisi cerebrale.2

Il mio intento è di riflettere sullo speciale percorso con Loris, che si è sviluppato nell’arco di tre anni che mi ha insegnato tanto, che ha fatto pensare tanto, singolarmente, in coppia con la terapista, con i genitori, con la mamma, nel gruppo dei riabilitatori e nel gruppo di supervisione.

“L’apprendere dall’esperienza”, di bioniana memoria non è qui un “modo di dire” ma un processo vissuto, nato dal desiderio e bisogno di riflettere sull’incontro e la relazione con l’altro, in particolare quando l’altro è un bambino che ha una patologia motoria cronica la cui presenza è dominante nel pensiero degli adulti. La paralisi cerebrale infatti rischia di offuscare il bambino agli occhi degli adulti, di farli ragionare in modo pragmatico e riduzionista, per “oggetti parziali”.

Questo cammino empirico ha attraversato territori dalla morfologia sconosciuta e complessa, sono stati tanti i momenti difficili, insidiosi, ma, confortata dal metodo e dal pensiero condiviso, sono approdata verso spazi di comprensione, di disvelamento di senso, mio personale, con la terapista,3 con i genitori, per e con Loris . Molta parte di questo senso mi sembra generalizzabile, per comprendere meglio l’esperienza dei bambini di ieri, di oggi e i bambini di domani.

Le domande insistenti a volte accorate della terapista sono state determinanti: i suoi interrogativi su Loris, sui momenti di impasse, sui comportamenti motori, sulla gestione del sé corporeo, sui suoi interessi fenomenici, sui suoi stati d’animo, sulle modalità materne. Altalene di entusiasmi e dubbi circa rotte riabilitative nuove non procrastinabili, ma difficili da “comprendere” quando il mare si fa minaccioso. O da far comprendere come indispensabili per un lavoro riabilitativo adatto al bambino con disabilità, non dimentico del bambino, della sua complessità, soggettività ma anche consapevole dello specifico clinico-riabilitativo.

Questa mia narrazione vuole essere insieme occasione di ulteriore riflessione, comunicazione, speranza di dialogo mutativo con il mondo della riabilitazione in età evolutiva, a mio parere arcipelago dalla morfologia varia in cui vi sono isole più felici, altre più desolate ancora ignare. Nell’insieme troppo poco coagulantisi intorno al nucleo centrale che è la persona, il suo sentimento di esistere per un altro, il pensiero su di sé, l’incontro con i propri stati emotivi oltre i disordini neurofunzionali e neuropsicologici.

Le neuroscienze offrono una straordinaria conoscenza descrittiva, conoscenze stupefacenti, indispensabili che richiedono però l’integrazione, il dialogo fra discipline, altrimenti il rischio è di aumentare la semiologia della disabilità, e lasciare soli bambino e famiglia sotto il peso di un’esperienza di alienazione che descrive le disfunzioni e prescrive trattamenti.

Nell’intento di mostrare come il modello che deriva dall’Estensione dell’Infant Observation sia adatto a custodire, promuovere e riparare i momenti aurorali di dialogo madre-bambino-padre; e quanto questo dialogo contribuisca a rendere possibile il trattamento riabilitativo con le problematiche ad esso connesse, ripercorro la fase preliminare con stralci dalla prima consultazione partecipata4.

Ho conosciuto Loris quando aveva 10 mesi. Secondogenito di una coppia di giovani genitori attenti e sensibili, la sorellina aveva 5 anni circa.

Sono arrivati all’Istituto Neurologico “C.Besta” di Milano dopo un periodo di dubbi posti al pediatra per uso ridotto della mano sinistra, sempre sottovalutati. Nel corso del ricovero per iter diagnostico è stata confermata diagnosi di paralisi cerebrale e precisamente: emiplegia sinistra congenita, secondaria a ischemia nel territorio dell’arteria cerebrale media di destra. L’EEG non segnalava crisi cliniche evidenti ma data l’alta espressività delle anomalie epilettiche è stato consigliato trattamento farmacologico, accettato dalla famiglia solo in seguito all’evidenziarsi delle crisi.

S’intrecciavano assenze ed evitamenti di sguardo, questi erano legati al tracciato EEG ma erano anche marcatori di un’elevata criticità psichica, non riconosciuta dai genitori né all’asilo nido che frequentava dall’età di 5 mesi.

L’inizio del trattamento riabilitativo s’imponeva urgente, dapprima su nostra indicazione, iniziato altrove, presto rifiutato dalla famiglia per eccessiva focalizzazione sugli aspetti motori.

La domanda dei genitori era pressante, speravano in una presa in carico riabilitativa presso il servizio di Neuroriabilitazione dell’Istituto Neurologico C. Besta, Centro di Riferimento per le Paralisi Cerebrali Infantili, struttura vicina alla loro residenza. Ma ciò che animava la loro domanda era soprattutto la consapevolezza di aver recepito, nel breve periodo di ricovero, una modalità diversa di curare i bambini affetti da paralisi cerebrale.

Da parte nostra però l’alta criticità psicopatologica e la severità del quadro neurologico inquietavano e ci facevano ipotizzare la necessità di un’ulteriore modifica al nostro approccio riabilitativo: ci sembrava indispensabile la “Consultazione Partecipata”5 continuativa sia con i genitori sia con la terapista che avrebbe seguito Loris.

Stralcio dalla prima consultazione partecipata

(mesi 10) ” Dopo le presentazioni , i saluti e l’esplicitazione di un incontro di gioco, Loris appare timidamente interessato allo sguardo accogliente della terapista… mamma di soppiatto sfila le calze dicendo: “Ecco questo è fatto!” e ancora “Non facciamo brutte figure!” Insieme a timidi sorrisi il pianto è incombente e presto disperato! La madre è perplessa, la terapista la invita a consolarlo ma lei commenta che non ha bisogno di coccole e neppure di attenzione, lui di solito è così bravo e buono, è forse l’antibiotico che sta prendendo… E all’uscita dirà “Ce l’abbiamo fatta!”

 Il lavoro psicologico di gruppo sul materiale osservativo mette in evidenza “grumi di sensorialità” : la mamma, che pure è stata capace di rifiutare un trattamento esclusivo sugli esercizi terapeutici, assume ora uno stile emergente dall’urgenza terapeutica, dalle numerose preoccupazioni che occupano la sua mente, non può ancora dare un significato al pianto del suo bambino. Forse, desiderosa della presa in carico, incerta e angosciata sulla possibilità di raggiungerla, sembra rivelare tutta la sua angoscia con quel “Ce l’abbiamo fatta”. Sappiamo che il mancato riconoscimento da parte della mamma dello stato emotivo del bambino non fa bene alla loro relazione, questa rischia di deragliare a causa dei fraintendimenti e di far mancare il prezioso contributo materno alla trasformazione dei vissuti in esperienze pensabili (Vallino 2009, p.168-177).

Il pianto di Lorenzo per esempio ci raggiunge, la sua carica emotiva nel tempo appositamente rallentato a favore della comprensione ci agita, ci appare pieno di dolore, di impotenza, forse di domanda.

Si ipotizza uno spazio dedicato alla mamma per aiutarla ad accendere la sua reverie sul figlio affinché possa sentire dentro di lei le domande che noi ci stiamo facendo.

Questa atmosfera resta insatura dentro di noi, confidiamo nell’effetto retard della nostra esperienza decodificata e pensata.

La lettura del materiale osservativo infatti, e il pensiero riflessivo che ne deriva, aiuta il gruppo a sostare in “capacità negativa”, a reggere l’incertezza, sospendere i giudizi, aiuta a essere empatici, a immedesimarci e trovare modalità adeguate di soccorrere.

Forse questo è il tempo opportuno per la costruzione di uno spazio “germinativo di senso” adatto a “riparare”, “far crescere” la relazione tra mamma e bambino e custodire i processi di interiorizzazione.

Così ci predisponiamo per la seconda consultazione partecipata: al secondo incontro partecipano entrambi i genitori, l’atmosfera è diversa, si avverte che la presenza paterna è di grande conforto per la mamma e Loris, papà sembra portare un aiuto consistente, il suo misurato ottimismo, la sua naturalezza, lo fanno essere naturalmente capace di stare con Loris, di essere un’àncora quando il piccolo s’incrina e rischia di perdersi.

 Stralcio dalla seconda consultazione partecipata (mesi 10 e 11 gg):

“mamma avverte Loris che lo preparerà,lo siede sul tappeto e con orgoglio annuncia la novità del fine settimana:  Loris ha imparato a stare seduto da solo: da seduto guarda ora mamma ora papà e gli angoli dei giochi, mi appare contento, fiducioso e in sintonia con la situazione…Quando papà offre l’anello sonoro la sua gioia è palpabile. Quando papà tenta di avvicinare anche la mano plegica Loris la ritrae, papà desiste, offre un altro anello e un altro ancora nel tentativo di sollecitare Loris ad afferrare con l’altra mano o a dimostrarci quanto la ignori. Loris però la ritrae e con un colpo di voce esprime la sua protesta. Papà scioglie la défaillance offrendo una bella palla di peluche gialla. Loris segue con lo sguardo l’offerta di papà e dimentica l’offesa. La palla si apre come un libro, mamma e papà sono piacevolmente stupiti. All’interno c’è uno specchio nel quale rispecchiarsi con entusiasmo. Loris osserva curioso mentre la mano plegica, pur non partecipando attivamente, si trova accanto all’oggetto che si è allungato e quindi l’ha raggiunta riempiendo lo spazio vuoto che di solito si nota. Loris con i genitori è interessato al gioco, lo chiude, lo apre, condivide ora con papà ora con mamma le sue scoperte. La mamma tenta di avvicinare la mano plegica a un altro gioco, un rullo contenente delle farfalle che Loris cerca faticosamente di scuotere con la sola mano ds, all’ennesimo tentativo di fargli usare la mano sinistra Loris estende il braccio sinistro e con la mano chiusa a pugno emette un vigoroso e prolungato colpo di voce. Papà commenta “Ecco è così quando vorrebbe fare qualcosa con quel braccio!”

Questa seconda tranche osservativa mette in risalto quanto l’urgenza di contrastare il “non uso” della mano plegica spinga comprensibilmente i genitori a insistere sul suo utilizzo e a pensare che i sentimenti di disagio e furia di Loris derivino esclusivamente dal malfunzionamento dell’arto. Sfugge loro la possibilità che in parte questi sentimenti siano esasperati dall’intrusività ostruttiva di questa insistenza. Insistenza pienamente condivisa dall’ottica riabilitativa classica che espone il bambino a fraintendimenti. E’ invece molto probabile che il bambino senta “giudicata” la sua identità.

Entrambe le esperienze partecipate confermano la necessità di una terapia riabilitativa non disgiunta da un approccio che protegge e promuove lo sviluppo, intercetta la sofferenza e si predispone a offrire sollievo.

Ci appare indispensabile:

a. risvegliare il potenziale materno paterno di immaginazione, fantasia e comprensione sommersi dall’angoscia per la patologia del figlio.

b. aiutare Loris a sentirsi capito, quindi a irrobustire il suo “Io” attraverso il sentimento di “sentirsi esistere per i genitori” (Vallino e Macciò 2004, p.142-146).

c. accogliere elaborare con i genitori i loro vissuti e insieme trasformarli in pensieri sull’ esperienza con Loris e di Loris.

Confermiamo pertanto che la “Consultazione Partecipata e Congiunta alla terapia neuropsicomotoria” è la terapia d’elezione.

Operativamente la terapista, nella fase assai delicata del primo anno di terapia, fa due sedute settimanali, di cui una con me; ogni quindici giorni, lei e io discutiamo su questo materiale; due volte al mese incontro i genitori. Mensilmente alcuni protocolli sono stati portati al “ Work Study Seminar”.6 Contestualmente una volta al mese parte del materiale viene condiviso con l’ équipe allargata.7

Il secondo e terzo anno, dato il sostanziale miglioramento di Loris, sia sul piano psichico che relazionale e riabilitativo, la mia presenza in seduta congiunta diviene mensile ed assume l’obiettivo più classico di monitoraggio, approfondimento, e comprensione del gioco del bambino, fedele ecografia del suo mondo interno, modalità adatta a promuovere lo sviluppo e occasione per co-costruire repertori ludici attraverso i quali far transitare la terapia riabilitativa.

Le qualità indispensabili alla sua realizzazione sono state:

- speciale attenzione mentale della terapista, capace di sviluppare una funzione adatta alla comprensione e trasformazione col gioco dell’esperienza del bambino, ciò in opposizione alla funzione tradizionale di agire selettivamente sulla modificabilità neuromotoria.

- reverie elevata, preceduta dal lavoro di riflessione psicologica sul materiale osservativo, redatto in forma narrativa.

- disponibilità a offrire oggetti graditi a Loris, a riconoscere quelli per lui pregnanti, da usare sospendendo giudizi affrettati volti a saturare il senso degli interessi, come per esempio l’interesse per la luce che subito sollecitava in noi ipotesi di fughe difensive.

- convinzione che la vita mentale del bambino è enigmatica, a tratti quasi incapsulata, noi Operatori con i Genitori abbiamo il compito di rintracciare gli indizi della sua misteriosa presenza e di farla emergere.

- la presenza costante dei genitori, mamma e/o papà è fondamentale per creare insieme e condividere l’esperienza naturale e riabilitativa.

Essere genitori di fronte a una patologia permanente

Vorrei fare un breve commento più generale. In “Essere Neonati”, Dina Vallino e Marco Macciò hanno dimostrato come il materiale osservativo confermi la presenza di un’invariante: “momenti difficili fra mamma e bambino”, “crisi latente” che si riaccende attraverso gli inevitabili conflitti che nascono quando la madre non risponde o non comprende oppure offre altro rispetto a ciò che il bambino si aspetta. Tenterei un’estensione di questo concetto alle situazioni post traumatiche, quando irrompe nel mondo familiare la comunicazione della patologia permanente del figlio. La genitorialità subisce un’alterazione. La funzione genitoriale (materna e paterna) arresta il suo processo costitutivo, volge verso una maternalità e paternalità dipendente, debole, insicura. La fenomenologia del comportamento genitoriale è molto varia ma sembra derivare da una sorta di blackout di immaginazione sul figlio, soppiantata da reiterati fantasmi persecutori e pessimistici che debilitano e alterano il rapporto con lui e influenzano i processi di interiorizzazione.

Per questi motivi il lavoro con i genitori è complementare alla consultazione partecipata e congiunta alla terapia, con due incontri mensili finalizzati ad accoglierli, coinvolgerli, richiamarli protagonisti e capaci di intercettare il sentire di Loris attraverso le riflessioni sulla narrazione dell’esperienza riabilitativa vissuta insieme. Questo modo offre la possibilità di confrontarci sui significati che attribuiamo all’esperienza stessa e rimette in moto il prezioso processo di costruzione della funzione genitoriale.

Inizio delle consultazioni partecipate con i genitori

La mamma sostenuta dalla presenza del marito narra di come entrambi abbiano desiderato Loris, ma s’affaccia una gravidanza molto disturbata da pensieri “strani e brutti”. Nel primo racconto della madre non ci sono ancora le parole che invece arriveranno più tardi. All’inizio è l’espressività corporea che fa presagire il tormento dei suoi fantasmi. La madre chiude gli occhi, scuote il capo, come a cacciare un ricordo molto doloroso. Passa alla nascita di Loris, il sollievo al vederlo sano, ma dopo un mese lo sorprende con lo sguardo evitante, e ancora, i confronti con altri bambini all’infant massage. Lì era andata ad imparare il contatto corporeo col bambino, trovava gli altri bambini diversi, lui non amava farsi toccare, si ritraeva, ancora una volta i “mah, non so” mi appaiono sonorità balbettate, marcatrici di un groviglio emotivo su di sé e su Loris.

S’affacciano altri ricordi: a quattro mesi i dubbi sul braccino sn e le rassicurazioni del pediatra che definiva Loris semplicemente bambino pigro. Infine la diagnosi di paralisi cerebrale. La sua agitazione nel corso della consultazione partecipata, il desiderio di mostrare com’è Loris e di ottenere la presa in carico.

Questo primo racconto rievocativo conferma lo sconvolgimento interno ed esterno del singolo e della famiglia, c’interroga sul nostro operare e richiama la nostra attenzione alla dimensione inconscia.

Condivido con i genitori di Loris stralci delle due consultazioni partecipate così con le successive alla ricerca delle parole per le intenzioni e i vissuti preverbali di Loris .

E’ la mamma che condivide in modo massiccio questa esperienza, la presenza di papà dopo i primi incontri si è diradata, riservata ai momenti speciali, qualche seduta, i controlli medici e neurofisiologici, i prelievi.

L’inizio e la reverie

La terapista individua nel canotto il fulcro dello spazio riabilitativo. Lì, secondo lei, può iniziare delicatamente l’esperienza riabilitativa di Loris con la mamma: tramite un grembo concreto e simbolico, luogo di Incontro per sciogliere grovigli emotivi e rialimentare la relazione madre figlio.

Stralcio dalla prima consultazione partecipata e congiunta alla terapia neuro psicomotoria: (mesi 11 e 13gg):

Al centro del grande tappeto c’è il canotto su cui Alessia ha fissato degli oggetti. Loris arriva con la mamma, noto che il suo sguardo è subito esplorante e in cerca di rassicurazioni… “si lo so, dice Alessia che ti piace tanto il canotto, lo facciamo vedere ad Adriana!? Vuoi entrare?”…mamma lo siede dentro. Lì, ben protetto, può in nostra compagnia ascoltare trasognato le piccole storie che la terapista narra animando il sole, la farfalla il fiore. Quando è il suo turno afferra gli oggetti, li fa dondolare quasi stupefatto del suo protagonismo. I genitori l’accompagnano alla terapia perché in seguito incontreranno la Neuropsichiatra Infantile per discutere l’assunzione del farmaco sino ad ora negato dalla mamma. C’è un giro di sguardi e di sorrisi, sembra volerci dire che oggi c’è anche papà. Loris scuote il peluche ripetitivamente, la terapista vorrebbe distoglierlo da questo gesto stereotipo, gli facciamo sentire la nostra fantasia e compagnia, ma, quando i genitori escono, Loris sembra spegnersi. Dico: “E’ proprio triste quando mamma e papà vanno via, sai vanno dalla dottoressa che ti da la medicina per stare meglio, noi ti facciamo compagnia”. La terapista offre il tamburo. Loris ha una crisi prolungata ma alla ripresa afferra il bastoncino, lo scarica con vigore sull’oggetto ,poi flette il braccio e si copre gli occhi… l’accompagniamo da mamma e papà…”

Si può notare come la terapia si basi molto sulla reverie: faccio l’ipotesi che i genitori in questo momento siano distanti dalla minimalità dei suoi giochi, il loro pensiero è tutto centrato sull’incontro con la NPI e sulla terapia farmacologica che prescriverà. Loris si sente lasciato e riempie il vuoto con il movimento stereotipo autoconsolatorio.

Quando i genitori se ne vanno fisicamente, si fa deanimato, poi una crisi lo scuote, ciononostante fa un gesto simbolico di rara efficacia, si copre gli occhi come dire “Non ci sono più se loro non ci sono.”

Azzardato? Forse, ma lascio che questo pensiero aleggi insaturo dentro di me e con la terapista ci si sforza di guardare attraverso gli occhi del bambino, occhi che guardano il mondo, cercano, sentono, temono, sperano.

Essere mamma

La presenza continuativa e costante della mamma in terapia, la sua recettività attentiva, la speciale sensibilità e modificabilità del suo assetto cognitivo emotivo anche attraverso ricorrenti incontri esplicativi e di confronto con la terapista, oltre agli incontri con me, hanno rappresentato un grosso contributo a questo percorso esistenziale e riabilitativo.

Minuta, occhi azzurrissimi come il figlio, dinamica, ironica, la sua presenza in consultazione partecipata e congiunta si fa sempre più attenta e partecipe. L’atteggiamento iniziale materno di difesa, che interpretava come positiva l’autosufficienza di Loris, lascia spazio alle nuove capacità di osservazione, alle domande, riflessioni e risposte diverse. Può sostare nel tempo rallentato della riflessione e della ricerca di senso, anche se questo l’ addolora perché l’incontro con i propri vissuti e quelli del figlio non è indolore. In particolare si apre alla narrazione, un pensiero narrativo autobiografico che lascia fluire memorie sommerse di pensieri e sentimenti. L’ironia si scioglie in emozioni diverse: l’imposizione dei controlli prenatali, la briglia amniotica e il ridimensionamento dello specialista, il suo presagio di una malattia invisibile ai controlli prenatali. A lungo resta altalenante fra aperture e chiusure in un’oscillazione continua fra tempo attuale e tempo passato, fra sè mamma e sé figlia.

Il cammino, la mano, le crisi permangono la sua grande incognita. Poi s’interroga sulla socializzazione di Loris, ma i bambini la soccorrono, narra un episodio significativo nel quale la figlia le chiede: “Mamma, Loris ha la mano molle come…” Si sofferma sulla naturalezza dei bambini, un pianeta che ora inizia a conoscere e a gustare. Racconta il piacere di stare e di giocare con i suoi figli, con loro condivide la musica, il ballo e più tardi il pattinaggio. E ancora la sua esperienza pregressa che le fa sentire strane le parole che sta dicendo, pur trovandole vere. Si sente molto cambiata, ha imparato molto, è passata dal terrore verso i bambini per il loro misterioso mondo, al piacere di stare in loro compagnia. Nota che è cambiata la qualità del rapporto anche con la figlia. Rievoca il rapporto con la propria madre, è cauta, si sente a disagio, teme di colpirla con questi ricordi, ora che per lei prova tenerezza! Ma allora c’era freddezza e conflitto. Il padre era più diretto ma entrambi non amavano i bambini. La madre l’ha spinta verso l’agonismo nel pattinaggio artistico: stress, tensioni, ansie, paure di deluderla. Infine l’abbandono delle gare. Però dentro è rimasto lo sguardo giudicante della madre, dal quale ha origine il suo sentirsi sempre inadeguata!

Affrontiamo i problemi di separazione, presto Loris manifesta sofferenza al distacco, riconosciamo che non silenzia più i suoi vissuti chiudendosi, ma li vive e li esprime. Attribuiamo dignità al suo pianto! E gradualmente lo accompagniamo a rivelarsi in forme meno neonatali.

La madre è molto in ansia per il farmaco, continua a non vedere le crisi, vede invece la composizione chimica equivalente al veleno. E’ molto spaventata. Il suo pensiero si blocca. Torniamo alla lettura dell’esperienza partecipata perché è lì che ritroviamo Loris ed è lì che troviamo nuovi spazi per riconoscere nuovi pensieri. Lì la madre riconosce ed esprime l’immane dispiacere, la malinconia che prova nel riconoscere la tristezza di Loris, la sua consapevolezza e afferma “A volte mi guarda come se mi chiedesse perché la mia mano non funziona, perché le mie gambe non riescono a sostenermi!? E cosa sentirà nel momento in cui ha la crisi!?”

L’assalgono ondate di tenerezza e tremori per il piccolo Loris quando deve affrontare i prelievi.

Corpo…meraviglia…incertezza… mistero

Vorrei tornare a Loris per seguire il percorso parallelo a quello materno.

(stralcio consultazione partecipata e congiunta, n.5, mesi 12) “Oltre al canotto con i suoi disegni, la terapista ha preparato due palloncini poco gonfi, dei cubotti, il sole, la farfalla e il fiore. Gli offre un palloncino. Loris lo afferra prontamente con la mano destra, mentre la sinistra è costantemente dimenticata e retratta, lo scuote, lo schiaccia, dondola, pizzica, gusta il repertorio sonoro prodotto dai suoi gesti. Animo l’altro palloncino con delicatezza oso raggiungere e sfiorare col palloncino la manina sinistra che sorprendentemente Loris solleva come risvegliata da una sorta di letargo.

Metto in parole questo gesto: “Già, ci sono anch’io!” Mi guarda attentissimo, si guarda la mano sinistra, poi se la prende con la destra, la lascia andare, osserva la manina sana che muove con abilità le dita e mi guarda con insistenza.

Gli dico: “Forse stai guardando quante cose può fare questa tua manina “ e aggiungo, sfiorando la sinistra: “questa, fa tanta fatica, ha bisogno di attenzione, di aiuto, di tempo e di care per imparare a muoversi, ma è la tua manina!”

Loris torna a circondarla con la mano destra mentre mamma aggiunge: ”Si Loris è proprio così, sei molto bravo dobbiamo avere pazienza poi tutto andrà a posto vedrai!”

 Un’atmosfera emotiva vibrante mi fa provare la commozione della mamma e della terapista, testimoni di un colloquio importante, speciale forse inaudito per un bambino di circa 12 mesi.

Loris è capace di porre dei limiti precisi a questo argomento così delicato. Nel tentativo di convincerlo a fare qualche movimento con la sua mano plegica, in un'altra seduta, dico:

(stralcio consultazione partecipata e congiunta. n. 7., m. 12 e 15 gg) “Chissà se questa manina è contenta di provare a suonare. Solleva il braccio destro, poi il sinistro plegico, le mani si trattengono poi le lascia cadere guardandomi con intensità e rabbuiandosi. Riconosco che l’ho fatto arrabbiare, suona con una certa violenza la pianolina. Io suono il mio “do re mi fa” che accompagna le scuse; lui pensoso il suo “Si la sol”. La terapista probabilmente cogliendo l’intensità di questa nostra comunicazione applaude all’implicita riparazione del nostro conflitto: “Bravi!… come siete stati bravi!” Dopo poco torna ad afferrare la mano plegica, la allunga verso di me in una domanda misteriosa che decodifico dentro di me ma non so trasformare per lui.”

Mi rimane il dubbio di un lampo d’angoscia negli occhi di Loris. Penso che nella sua mente quell’arto può iniziare a essere visto come una parte di sé, una parte che sente, che può sollevare, confrontare, curare con le coccole, con gentilezza, pazienza, ma usare è un’altra cosa. Questa mano non è come l’altra!8

Loris mostra gli stati emotivi che lo attraversano: desiderio, furia, confusione, delusione, dolore, poi qualcosa torna a rassicurarlo, a infondergli speranza come se potesse sopportare il peso di queste “montagne russe emotive” grazie al fatto che la mamma, la terapista, io, siamo con lui e abbiamo creato un luogo e un modo di stare insieme che lo conforta.

Movimento, allontanamento, distacco, perdita, ritorno

Penso che il movimento per Loris sia desiderio imperioso, a tratti onnipotente, e che la trasformazione di questo desiderio in progetto e proceduralità realizzativa necessiti di molta incubazione. D’altra parte la sua lesione è ampia, la sofferenza cerebrale diffusa, quindi in un’ottica neurologica è comprensibile la sua incertezza. Ma non è completamente spiegabile con essa, esiste un margine di enigmaticità, dice sovente la terapista.

Sta mettendo alla prova le novità del suo movimento: butta, allontana, si estende e riprende ma sempre da seduto, batte in modo vigoroso entrambi gli arti inferiori, è un rito che lascia ben sperare ma poi non segue un compimento.

(stralcio consultazione partecipata e congiunta n.14, mesi 16) “La madre dice: “ E’ incredibile come s’allunghi, riesce a prendere cose irraggiungibili. “ Più tardi gioca con un bottiglino contenente dei ceci, lo scuote allegro al delicato suono poi lo ritrova vuoto, è stupito, si rattrista, si spaventa, s’addolora. Alessia gli spiega cos’è successo: il bottiglino è vuoto perché scuotendolo i semi sono usciti, lui allora si cimenta a rimetterli dentro.”

 Qui Loris sembra confermare la fatica a controllare visivamente l’uscita dei semini e, spinto dal desiderio di trattenerli, con cura li riconquista a favore di un ulteriore bisogno di trattenimento.

 (stralcio consultazione partecipata e congiunta n.16, dopo le vacanze estive, mesi 19)” Alessia ha preparato alcuni palloncini colorati, Loris è entusiasta. Il suo viso è sorridente e grato, ne afferra uno e lo lancia lontano da sé ma subito dopo si rabbuia. Lo incitiamo a raggiungerlo ma si fa sempre più irritabile, protesta, urla scuote il capo. Alessia gli avvicina il palloncino e ciò lo calma, subito dopo Loris lo rilancia lontano ma allo stesso tempo torna a esprimere con urla e pianto la sua rabbia e il suo dolore.

Avverto l’impotenza incipiente e contagiosa, azzardo che Loris forse ci sta facendo vedere che il palloncino è come quando mamma va via, lui s’arrabbia, si rattrista perché vorrebbe la mamma subito; allora facciamo che il palloncino va, ma come la mamma, torna sempre. Loris mi guarda, ascolta attentissimo e quando il palloncino torna da lui il suo sguardo s’accende di gratitudine. Così ripetiamo un po’ di volte questa conquista, lui allontana, io avvicino. Ora ha allontanato il palloncino fin oltre il grande tappeto, nell’angolo della stanza, mi guarda, io dico “Quanta strada ha fatto il palloncino! T’accompagno, camminiamo!” Prendo i suoi sandaletti infilo le mie mani, imito il cammino enfatizzando e dicendo passo dopo passo. Incuriosito e stupefatto fa qualche spostamento a bottom shuffling, poi si ferma, mi guarda, torna a spostarsi, poso la mia mano dietro la sua schiena, scende dal tappeto e raggiungiamo il palloncino… I bravo sono entusiasti!”

Si può commentare che la terapia va avanti perché rispetta il percorso emotivo del bambino, Loris dopo aver sperimentato, goduto, la fusionalità benefica, può avvicinarsi all’assenza, al distacco. Ciò non è indolore, ma è possibile.

L’ esperienza vissuta nella consultazione sembra trasportare l’eco di un personalissimo gioco del rocchetto, col quale “impadronirsi di un elemento doloroso” (Badoni 1990, p 259-273) solitamente affrontabile con il gioco, ma in questo caso intralciato da difficoltà motorie che ne deprimono la padronanza. La nostra posizione comprende il grumo emotivo sottostante, cerca di mediare, accorciare la distanza fra desiderio e realizzazione. La terapista riaccompagna il palloncino, il mio intervento tenta di aiutare Loris a raggiungerlo là dove lui è. E’ all’interno di questo scenario che cominciano ad avere senso gli spostamenti!

Loris sembra oscillare a tratti bruscamente fra due poli: bambino aperto, capace, relazionale, gioioso, quindi molto cambiato pur con le sue naturali caratteristiche e il bambino quasi bloccato, che non ce la fa se non c’è qualcuno che l’aiuta e lo capisce; e, quando il suo sé stesso è ingombro di sensazioni fastidiose, non può neppure accettare l’aiuto!

Spesso con la terapista per comprendere la sua improvvisa irraggiungibilità abbiamo attinto a metafore. L’immagine degli ululati dei lupi è stata ricorrente per immaginare come può sentirsi una persona in preda a uno scenario interno mutato e inspiegabilmente minaccioso.

Il gioco riflette i movimenti della vita mentale e consente altri balzi riabilitativi

La consultazione partecipata seguente è stata preannunciata dall’impasse relativo ai reiterati “no” di Loris.

(stralcio consultazione partecipata e congiunta n.5, 2anni e 7mesi) “la coreografia preparata dalla terapista oggi è ricca di opzioni per fronteggiare gli incipienti no di Loris.Subito è attratto dal sacco relax, con la terapista accanto esplora l’oggetto, sente con la mano la sua consistenza, osserva la forma, sorride poi le chiede aiuto perché possa sdraiarvisi. Numerosi sono gli aggiustamenti che preparano la posizione che desidera esattamente. Finalmente eccola, è la posizione fetale! Lì si crogiola. Poi chiede con insistenza alla terapista di appoggiare il viso accanto al suo; intanto la mamma suggerisce che “c’è anche Lulù”; il suggerimento piace a Loris, con cura prende il cucciolo, lo sdraia sul cuscinone, lo nutre, lo fa saltellare, scivolare, raggiungere l’estremità del cuscino, affacciarsi, ritirarsi e rotolare . Mamma commenta “Ma Loris, stai facendo fare a Lulù quello che tu hai fatto con Alessia? Non l’hai mai fatto un gioco così bello!”

Trovo straordinaria l’interpretazione materna, ha riconosciuto e rilanciato il significato profondo del gioco del suo bambino a conferma della reverie ritrovata.

Ci siamo poi interrogate sul senso dei no reiterati e l’impasse che la terapista avvertiva e abbiamo fatto l’ipotesi che la terapista, sicura dei progressi e del desiderio di cammino di Loris, si fosse allontanata un po’ dalle sue emozioni. Emozioni di paura, incertezza, delusione, incomprensione emergenti dallo scarto fra desiderio e realizzazione. Da qui forse i suoi no.

Una sorta di “Non sono ancora pronto!” La consultazione partecipata con la sua straordinaria funzione ha mostrato come intimamente Loris stia ricercando le qualità costitutive del sé, la posizione fetale sul sacco relax evoca un simbolico ritorno al grembo materno per ritrovare coesione e vitalità necessaria a crescere, a emanciparsi prima di affrontare il cammino.

La mano plegica

Di lì a poco mette in evidenza il suo essere pronto per altro. Proviamo a vederlo insieme:

(stralcio consultazione partecipata e congiunta n. 12, 3 anni e 1 mese) “Loris raggiunge il flauto, l’afferra e da capovolto lo porta alla bocca, sale su tappeto, pigia la pianola da cui parte una melodia, s’allontana con lo strumento sin sotto la finestra e da lì mima il suono, la destra muove le dita, la sinistra (plegica) arriva con gesto ampio, faticoso ma determinato, non appena la mano sinistra arriva sul flauto, la destra la trattiene.

Io penso che stia riprendendo l’investimento affettivo sull’arto plegico. Il giusto momento per incrementare l’interiorizzazione di una parte di sé lasciata nel limbo della sua disfunzionalità e nell’implacabile emergere del “non uso”. Ora invece sono rinati desiderio e speranza, fiducia di poterla usare nonostante la massiccia diversità. Questo è un passaggio rilevante sia dal punto di vista emotivo e costitutivo del Sé, che riabilitativo. Poter pensare al proprio corpo intero e coeso, in particolare concepire l’emisoma paretico non solo come “zona oscura fonte di dolore”, quindi da silenziare, ma parte di sé da comprendere, è determinante sia come processo esistenziale che propedeutico a una riabilitazione efficace.

Le crisi epilettiche

La terapista nota un gioco ripetuto che resta enigmatico, senza risposta, la consultazione quindi è indirizzata a tentare di comprendere ciò che Loris dice con questo suo gioco, vediamolo:

(stralcio consultazione partecipata e congiunta n.29, due anni e 1 mese) “Siamo in seduta con la mamma. Loris, dopo un bel gioco con il cagnolino Pluto, l’esplorazione di strutture ludiche e momenti di buona intersoggettività sia con la terapista che con me esprime l’intenzione di raggiungere la balenottera, l’afferra, la trattiene in modo affettuoso, cerca la coda, la dondola, controlla ripetutamente la consistenza e inizia una crisi prolungata. Lo sguardo è fisso, sembra posarsi inconsapevolmente sul vuoto, tutto il suo corpo è fermo. Dopo interminabili secondi il movimento torna ad animarlo, sembra destarsi da un sonno misterioso e sconosciuto. Dico: “accidenti questo fastidio!” Torna al gioco della balena che sta occupando la scena di questo periodo, le stropiccia la pinna sino a farla sparire nella sua mano. Incerta chiedo: “ provo anch’io?” Acconsente, aggiungo parlando alla balena che se c’è qualcosa che non va la possiamo curare!” Intanto senza dire nulla il mio pensiero va alla sua mano (sinistra) plegica. Mi toglie di mano la balena, la mette in verticale e a testa in giù, lasciandola la balena cade, Loris al ripetersi di questa sequenza è preso da sconforto incipiente. La terapista offre una spiegazione realistica, in quella posizione, la balena cade. Mamma insolitamente si rabbuia per tanta irraggiungibilità e dice il suo “basta”. Io commento che lui è un nuotatore, forse fa vedere il tuffo della balena. La sua risposta è un urlo verso di me come per zittire tanta insipienza!

Trattengo allora con le mani la balena a testa in giù e azzardo: “ Forse la balena all’ingiù è come ti senti tu quando hai le crisi, tutto sottosopra!” Mi volge le spalle lasciandomi con la balena, ma l’acredine sfuma e con Alessia nutre un piccolo pesciolino lì accanto, poi saltella verso la mamma, le sfiora la guancia teneramente e posa il suo capo sulle sue ginocchia.

La mia interpretazione permane guardinga, deve essere sottoposta al vaglio delle risposte del bambino perché possa essere degna di una certa sostenibilità e qui mi pare che il comportamento di Loris la confermi.

Le crisi nel gioco

Loris, sempre molto sensibile alla musica, improvvisa una sorta di rap misto a espressività corporea col quale narra per la mamma, la terapista e per me una storia che alfabetizziamo gradualmente. E’ straordinaria, ci appare un incipit creativo testimoniante lo spessore e la profondità del suo mondo interno e il dialogo che mantiene con l’esterno. Questa la storia che ricostruiamo con lui attraverso domande esplicative di parole troppo gergali:

(stralcio consultazione partecipata e congiunta, 3anni e 7 mesi) “C’era una bambina, non c’era luce, tutto silenzio intorno a lei (Loris mima il silenzio col ditino sulla bocca e il sonno appoggiando il capo sulla spalla) poi è arrivata la luce (Loris la indica ed esplode con suoni, grida, sorrisi, gesti, festa, vita!), ce la ripete più volte fino a che è ben costruita con le nostre parole in soccorso delle sue non ancora chiare. Allora è felice, ce la ripete l’ultima volta quasi, a gustarne la condivisione e l’orgoglio di essere l’autore.

Il gioco narrativo, iniziato da noi in assenza di sue parole chiare, ci aiuta ad intuire cosa pensa il bambino, esprime il dispiegarsi e lo sciogliersi dei suoi grumi emotivi. Certamente vi sono corsi e ricorsi circa gli aspetti dolorosi emergenti dalla malattia, questo riguarda sia le competenze posturo- cinetiche che le crisi.

Come si può immaginare c’è un crescendo nel suo bisogno e nel suo desiderio di conoscere e capire cosa gli succede. Quando tutto torna precario per Loris, gradualmente ancora una volta è il gioco a mettere in scena il bisogno di affrontare la nuova tormentosa incognita rispetto a sé.

Loris nel corso del secondo e terzo anno di terapia riabilitativa, ha affrontato l’esperienza durissima di un inasprimento delle crisi epilettiche: dapprima brevissime sospensioni di coscienza con sguardo deviato a sinistra e arresto del movimento, con buona ripresa, poi sciami sempre più frequenti e forti sino a crisi atoniche con perdita di controllo posturale9. La ripresa anche se rapida ed “eroica” lascia intravedere la tempesta emotiva che lo ha invaso.

Il mio lavoro con la mamma e Loris accompagna entrambi a prepararsi ad una pregnante comunicazione circa le crisi perchè il suo gioco sembra porre una domanda ricorrente. Gli spiego che quando succede mamma è lì con lui, che può tenersi a lei. La risposta di Loris conferma l’interiorizzazione di questa comunicazione, quando è attraversato dalla crisi contatta sempre la mamma, a volte raggiungendola anche solo con lo sguardo. La mamma ed io troviamo le parole che sente adatte e che nella loro speciale intimità possono essere dette. Il termine per spiegare le crisi è “ninne, piccole ninne”, che chissà quanto lo disturbano e lo spaventano, che la mamma è con lui e, con le dottoresse, sta cercando la medicina che lo aiuterà.

Mamma più tardi mi narra l’intensità con cui Loris ha accolto questa comunicazione.

In questo periodo in seduta c’è l’onnipresente Lulù, cucciolo compagno di giochi, personificazione che ha narrato tanto del risveglio emotivo, della relazione che lo ha richiamato alla vita psichica a cui ora attribuisce un nuovo stupefacente copione da recitare.

(stralcio consultazione partecipata e congiunta, 4anni e 1 mese) La storia narra di un cucciolo stretto fra piccole nanne e risvegli; durante le nanne Loris offre la sua musica. Ci sembra potente l’analogia con la realtà delle sue crisi. Loris afferra Lulù, lo adagia sdraiandolo con la testa sul cuscinone, preannuncia “nine e cuchica” (nanne e musica), rapido fa partire la musica di sottofondo, prende il flauto a due mani lo porta alla bocca, soffia suoni forti e decisi, alternati a suoni melodiosi delicati, poi s’affretta a svegliare il cucciolo, ma aggiunge “No ancora nine e cuchica”. Commento che la musica aiuta a fare dei bei sogni, il suo “si” è immediato seguito da un risveglio definitivo nel quale Lulù esplora, salta, si nasconde, si specchia, torna a occultarsi, s’arrampica, mangia, si lava in un crescendo di voglia di vivere.

La verticalizzazione e il cammino

La verticalizzazione e il cammino sono state conquiste recenti, molto sofferte, preparate da storie ludiche come quella in cui l’orsetto Stringimi a lungo ha indossato i tutori a rinforzo delle sue zampe. Così Loris ha potuto accettarli quando gli sono stati offerti a sostegno dei suoi arti inferiori, apprezzandone l’utilità.

Dopo aver acquisito la verticalizzazione, si cimenta sul cammino, dapprima cauto con la mano materna, poi, più sicuro. Prestissimo lascia la mano della mamma, cammina con emozione e fierezza sembra dire “Ho tanto atteso, ho tanto lavorato per essere sicuro di non fallire”. Gradualmente il suo cammino autonomo si fa sicuro, lievemente asimmetrico.

Per quanto riguarda la mano plegica, a mò di esempio, mi riferisco alla volta in cui fa un concertino improvvisato, col suo personale genere narrativo, in cui usa entrambe le mani. Finalmente anche la mano plegica ha un suo legittimo ruolo, anche se un po’ diverso. Infatti Loris dice: “Mamma mamma gada appiai!” (mamma guarda uso la mano, applaudi) lo sguardo è raggiante, come quello materno, entrambi carichi di orgoglio e gratitudine (cons.part.cong., 4anni e .2 mesi).

Conclusioni

La presentazione dell’esperienza riabilitativa con Loris è stata necessariamente sintetica.

Penso che questa Terapia Riabilitativa non sarebbe stata possibile senza il contributo della Consultazione Partecipata e congiunta.

Loris era un bambino molto provato, la relazione con la mamma non trovava il suo idioma, è stato indispensabile andare là dove lui si trovava; sono state necessarie quote di amichevolezza, di simpatia verso di lui e verso la sua mamma. E’ stato indispensabile sospendere i giudizi e offrire attenzione mentale continua elevata, rispetto per il suo sentire, attesa della sua intenzionalità, anche quando era pressoché inavvertibile.

L’esperienza definita “Capacità Negativa”, intesa come viene spiegata da Bion, saper sostare nell’incertezza o nell’incomprensibilità senza lasciarsi occupare la mente da pensieri precostituiti come quelli intorno alla lesione, alla gravità o alle problematiche materne e genitoriali, è stata importante e ha accompagnato un percorso che concretamente attraversa e vive la morfologia sempre nuova dei territori dell’apprendere dall’esperienza.

E’ attraverso una riabilitazione così concepita che Loris ha potuto trasformare la sensorialità puntiforme ed enigmatica da cui si ritraeva in esperienze affrontabili e pensabili in compagnia della mamma e nostra. Ora sta gradualmente elaborando la sofferenza incontrandola anziché evitandola, dissociandosi da essa e questo riguarda anche la mamma e la famiglia. Il suo ritiro e il suo pianto segnalavano vissuti di solitudine e di impotenza.

Abbiamo sorvegliato l’urgenza riabilitativa, attivato una specifica attenzione mentale verso Loris bambino e la sua mamma, offerto un clima speciale, rintracciato i suoi desideri ludici e questo ci ha permesso di calibrare l’Incontro e il progetto riabilitativo. E’ stato possibile trasformare gli stati mentali a elevata confusività in processi di significazione: iconici, musicali, con giocattoli, sino all’espressività verbale con la storia della bambina e della luce. All’inizio il suo corpo è stato fonte di angosce indicibili, desiderio di muoversi e terrore senza nome. Il suo corpo è gradualmente diventato anche luogo di esperienza, di relazione, forse di simbolizzazione. Il suo corpo ha potuto contare sull’infusione di affetti derivante da una cultura del rispetto e dell’equilibrio, più che una cultura riabilitativa forte. Ciò ha animato e integrato l’immagine inconscia di sé. Questo è determinante per la riuscita riabilitativa. Il suo “sentirsi esistere per e con l’altro”, nel gioco con l’altro, ha permesso un importante lavoro di rimodellamento funzionale globale e di integrazione possibile dell’arto plegico, in costante dialettica fra sé corporeo e immagine di sé. Ma ancor più colpisce la possibilità di interiorizzare la sua esperienza seppur così dura e difficile; attraverso il paziente lavoro di reverie materna, sostenuta dal pensiero di gruppo, Loris sembra poterne beneficiare imparando ad assumere in sé la capacità di pensare .

Il desiderio e la speranza è che questo tipo di riabilitazione possa riguardare sempre più ogni bambino, ogni famiglia, ogni terapista.

 Note

1  Daniela Gobbo, Riabilitazione e Psicoanalisi, Introduzione di Antonio Alberto Semi, Quaderni Veneti, Borla 2004
2  Ho iniziato la formazione all’Infant Observation con Dina Vallino nel 1983; si è prolungata in una Work Study Seminar condotto da Dina Vallino sino al 2009.3  Alessia Marchi, Terapista della Neuro Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE) che qui desidero ringraziare per la disponibilità e l’entusiasmo con cui ha affrontato questa speciale esperienza.

4  Ricordo brevemente che il protocollo diagnostico riabilitativo pressol’Unità Operativa Neurologia dello Sviluppo, Sezione Disordini dello Sviluppo Motorio – Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico Carlo Besta -prevede una prima visita con Npi, proposta esplicativa del modello di lavoro, quindi circa 2-3 Consultazioni Partecipate con bambino genitori psicologa e terapista, i resoconti osservativi sotto forma di narrazione scritta vengono letti, discussi ed elaborati nell’équipe multidisciplinare, successivamente condivisi e discussi con la famiglia.

5  Dina Vallino mi ha sostenuto nella comprensione e nello studio del suo modello e nella sua estensione al lavoro con la terapista
6  Gruppo di operatori in psicoterapia npi psicologi guidati dalla dottoressa Dina Vallino che approfondiscono lo studio di questo modello.
7  Ricordo i nomi delle persone che in questi 3 anni hanno fatto parte dell’équipe e quindi hanno partecipato a questa esperienza: Emanuela Pagliano, Alice Corlatti, Alessia Marchi, Terry Arnoldi, Maria Foscan, Elena Andreucci, Tiziana Casalino, Anita Magro.
8  Queste ipotesi sono in contrasto con il pensiero riabilitativo corrente che tende a contrastare l’instaurarsi del “learning non use” con esercizi, trattamenti ad elevato contenuto neuropsicologico o”constraint terapy”, dimostrando cecità verso l’esperienza emozionale che impregna la conoscenza del corpo, dell’immagine del corpo. (l’immagine inconscia del corpo)
9  Tali crisi si associano a deterioramento del tracciato elettroencefalografico con anomalie subcontinue che minano la continuità attentiva. Vengono effettuati diversi tentativi terapeutici con scarso beneficio per la persistenza di importanti anomalie che rendono necessari numerosi controlli clinici, elettroencefalografici, prelievi, nonché un faticoso ricovero.

Bibliografia

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*  Il saggio è stato pubblicato in Famiglie  (a cura di Dina Vallino e Marco Maccio'),  Quaderni di psicoterapia infantile n.63, Borla,  Roma 2011. L'Autrice è psicologa, psicoterapeuta presso l'Istituto Neurologico Besta, U.O. Neurologia dello sviluppo.

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Giovanna Maggioni: Il bambino non visto e i suoi genitori nell'incontro analitico