Manuela Trinci: Una regressione devastante di una bambina di undici anni

Una schizofrenia ad esordio precoce è affrontata con una stretta relazione coi genitori

 

 La storia di Oretta permette una riflessione e un approfondimento di alcune questioni relative al lavoro clinico con i bambini e con i loro genitori. In particolare ci riferiamo allo strumento della “consultazione partecipata” e di come, nello specifico di Oretta, proprio attraverso questa metodica, mentre si avvertivano sensibili miglioramenti nella ragazzina, si sia potuto accompagnare gli stessi genitori verso la condivisione del processo terapeutico e quindi verso la comprensione di sentimenti e affetti vissuti dalla loro figlia ed espressi con sintomi e comportamenti rapportabili tutti a una regressione devastante.

In una declinazione più inconsueta di “consultazione partecipata”, il lavoro con i genitori si è per lo più avvalso dell’uso di e-mail, scambiate sistematicamente dopo ogni seduta con la ragazzina.

dipinto di Georges de la Tour: Saint Joseph charpentierAbbiamo pensato che la scrittura, infatti, proponga un utile spazio (sicuramente di attesa ma anche di fantasia e creatività) fra l’irruenza e la riflessione, e che una mail consenta di essere presa e ripresa, letta e riletta sino a trovarvi – ogni volta – differenti angolature e molteplici valenze di conoscenza.

Oretta e i suoi genitori

La prima volta che incontro Oretta rimango impressionata dai suoi movimenti sconnessi, dai tic che la devastano, dallo sguardo fisso aggrappato a se stesso, dall’odore di sporco che emana.

Indossa una felpa rosa che arrotola in continuazione, fra una scossa ticcosa e l’altra. Così la ricordo, stagliata nella cornice della porta d’ingresso.

Difficile, dietro a tanta devastazione, scorgere la ragazzina di undici anni, magrolina, dalla pelle olivastra, dai lunghi capelli castani, che Oretta è. Difficile coglierne lo sguardo, i grandi occhi nocchiola, il naso piccolo che mette in risalto la bella bocca carnosa.

Difficile… E  poi c’è la rabbia dirompente per essere stata portata da me. “Non ho bisogno di nessuno, sto bene”, sono le parole che urla; le prime quando si siede sul divanetto e le ultime, uscendo dalla stanza. Parole che rimangono conficcate nella mia mente, lasciandomi con l’impressione di un campo di battaglia senza sopravvissuti.

I genitori mi sembrarono persone attente. La mamma viene dalla Romagna e della terra romagnola conserva, come sulla pelle, la robustezza. Il coraggio. Il padre, almeno fisicamente, somiglia molto a Oretta. Da un anno ha perso il lavoro, cadendo in una forte depressione. Per questo, la famiglia è adesso in grande difficoltà economica considerando che anche la madre è stata da poco licenziata.

 L’avviarsi del lavoro clinico…

A telefonare, per la richiesta urgentissima di un appuntamento, sarà il padre e ancora sarà il padre a venire da solo al primo appuntamento. “La mamma non può lasciare Oretta”, spiega. “Nostra figlia sembra matta – osserva il padre - o forse lo è”, precisa subito, impaurito. Lui l’ha persino filmata col telefonino durante una delle terribili crisi, proprio per farmi rendere conto dello stato di regressione totale nel quale Oretta vive. “E’ proprio vero….” - mi dirà a ulteriore commento delle immagini - “guardi: un’indemoniata”.

Nel momento in cui, su sollecitazione del pediatra di base, si avvia questa consultazione, Oretta, che frequenta la 1° media, non va a scuola da 15 giorni.

Un inferno, un precipitare negli abissi della follia senza spiegazioni: spesso Oretta si bagna con la pipì, dorme sul divano e non vuole più mostrare l’avambraccio destro. Lo tiene bloccato, contorcendolo in maniera impressionante. Lo tiene coperto dalla stessa maglietta che indossa da 10 giorni. Non vuole lavarsi. Cambiarsi. Non vuole vedere la luce. E urla, urla all’improvviso, urla come una dannata.

Il padre come pure la madre sono disperati, vivono un’impotenza totale, non sanno capacitarsi come tutto questo sia potuto accadere. E’ subentrato un senso di sbigottimento, di estraneità.

Ma chi è Oretta?

Azzardano ipotesi: che sia stato lo sviluppo sessuale (Oretta ha avuto le prime mestruazioni)? Oppure il clima familiare (condizionato dalla depressione del padre e dai conseguenti malumori con la moglie)? Oppure la morte del criceto, di Antaro, che Oretta addirittura non voleva seppellire per non staccarsene? Oppure?

Sono riflessioni e indizi importantissimi questi; indizi che, dalla perdita al bisogno di fusionalità, si svilupperanno per tutto l’arco della consultazione e anche dopo, sino a oggi, alla prima seduta dopo le vacanze estive: totalmente dedicata al ricordo di Antaro. Il criceto tanto amato da Oretta e morto improvvisamente, senza che lei avesse potuto fare nulla per lui.

Le prime consultazioni: dalla rabbia al gatto!

Pur se catapultati tutti in una situazione connotata da urgenza, cerco di far capire ai genitori come sia importante il loro “essere” dentro al lavoro che con Oretta cercheremo di impostare e come uno dei nostri primi obiettivi sia quello di aiutare Oretta a accettare di avere bisogno di aiuto.

 Dal mese di settembre (2010) si avvieranno gli incontri – a cadenza settimanale - con Oretta e la mamma (la presenza della madre è pretesa da Oretta stessa, mentre il padre potrà partecipare più saltuariamente in quanto occupato in lavori precari).

 Oretta, in seduta, è arrabbiata, sempre di più. Si attorciglia a se stessa, sempre di più, ed è anche spaventata, sempre di più. Sembra un’assediata che resiste strenuamente, un’assetata che si rifiuta di bere. Anzi, che sputa, che scalcia. Si rifiuta e rifiuta. Ma c’è qualcosa di vivo in lei, di forte, che mi fa pensare che se accetterà la sfida con la malattia, ne potrà uscire vincente.

Invito la mamma a non perdere la calma. Anzi, in più momenti le propongo di giocare, noi due. Per esempio possiamo prendere la famiglia dei conigli e fare una storia. Oretta ci sbircia incuriosita, e mentre lei ci sbircia racconto alla mamma come sia importante il gioco, quante cose possa farci capire di quello che accade nella testa dei ragazzini, anche dei più strampalati.

Ma ancora ci saranno episodi molto duri, di strenua resistenza. Di volta in volta, a fronte dei suoi comportamenti di intolleranza, di urla, di parolacce e insulti, come pure di fronte a gesti sconclusionati, le pongo limiti, divieti. E Oretta si calma, ascolta.

Tuttavia il colpo di genio, che muterà il clima emotivo dei nostri incontri e che porterà Oretta dentro la stanza anche da sola, lo avrà la mamma.

Le farà notare, infatti, girando lo sguardo nella stanza fra molti dettagli di arredamento, come anch’io sia un’appassionata dei gatti, proprio come loro, che hanno appena adottato un gatto piccolo piccolo che si chiama Tigro.

Oretta si illumina letteralmente, quasi quasi pare buttarsi, lasciarsi andare alla curiosità… per poi subito rabbuiarsi e urlarmi dietro a gran voce: “E allora te, te che vuoi sapere tutto, fammi vedere il tuo gatto. Fammi vedere com’è”.

Avrei potuto forse voltare questa richiesta tangibile e concreta e forse dire a Oretta che questo era un suo modo per sapere di me, per esplorarmi. Una sua curiosità. O forse che era una sfida…Forse…

Non  poteva invece, il  gatto, essere – parafrasando Freud ne Il poeta e la Fantasia - quell’appoggio alle “cose visibili e tangibili del mondo reale” che il bambino utilizza per dare a “suo piacere un nuovo assetto alle cose del mondo”, iniziando, con questo, a giocare, narrando? Straordinario esempio letterario di tale intuizione freudiana rimane il frammento di un ricordo d’infanzia di Lev Tolstoj: “Ricoprivamo una poltrona con tanti fazzoletti, e ne facevamo una carrozza: uno si piazzava al posto del cocchiere, l’altro a quello del lacchè, le ragazze nel mezzo, tre sedie erano un tiro a tre cavalli: e noi ci mettevamo in viaggio”.

 Così, mi sono alzata per andare a aprire la porta (la porta che divide i locali dello studio dall’appartamento) sperando che il gatto fosse nei pressi. E il gatto era proprio lì, dietro la porta, in attesa di entrare in azione.

Fiero di sé, ha fatto il suo ingresso in studio e si è sdraiato ai piedi di Oretta, rimanendo supino con le zampe piegate, in posizione di resa.

Lei è rimasta incantata, dal gatto ovviamente, si è addolcita, ha sorriso. Ha iniziato a parlargli, a chiedergli se avesse mangiato e da dove venisse… Mi ha raccontato poi, con piacere, del suo micino, di Tigro, della famiglia di Tigro, la mamma e la sorellina Trilly, un po’ birbantella… (anche lei, Oretta, ha una sorellina, ma ho pensato fosse inopportuno stabilire analogie frettolose: una storia è una storia!)

 Intanto, il martedì successivo Oretta si presentò in seduta da sola.

Un po’ fuori e un po’ dentro la stanza

Vediamo adesso sinteticamente alcuni episodi significativi nel divenire della psicoterapia di Oretta, precisando che, in relazione agli strumenti diagnostici utilizzati (DSM), la diagnosi clinica era stata severa: schizofrenia a esordio precoce con innestati disturbi del comportamento, somatizzazioni, tic, aspetti deliranti. In questo senso, la ragazzina era ed è seguita dal Neuropsichiatra Infantile, Dottor Ettore, col quale si è avviata una collaborazione stretta attraverso lo scambio, via e-mail, del materiale clinico. Il collega le aveva somministrato una media dose di farmaco (Risperdal), che però Oretta rifiutava ostinatamente di prendere. Occorrerà, infatti, molto lavoro clinico perché Oretta riesca a “fidarsi” di qualcosa che - parole sue – “ può entrare dentro”.

Intanto:

 - Nel mese di novembre Tigro, il gattino di Oretta, sparisce nel nulla. Tigro era un tipo molto curioso, fuggiasco di natura, curatissimo da tutta la famiglia. Così, negli incontri con Oretta avevamo lavorato molto su questa scomparsa, avevamo persino preparato il testo di un cartello con foto da attaccare nella zona della sua abitazione. E su tale collaborazione, il nostro rapporto era cresciuto. Stavamo cercando un “disperso”, qualcuno che faceva stare male tutti, che le mancava. Le mancava col suo pelo, col suo odore, le sue cacche sciolte, le sue fusa.

 - Quello che possiamo chiamare un vero e proprio “laboratorio di scrittura” fra me, i genitori e il Dott. Ettore, si era avviato dal mese di gennaio, con l’idea che i genitori potessero seguire i passaggi della loro ragazzina senza rimanere intrappolati con lei nel linguaggio del corpo, ma sostenendola nei passaggi verso il mentale.

 - Fra gennaio e marzo (2011), le crisierano continuate, anzi in molti momenti si erano intensificate.

Oretta era invasa da emozioni che non poteva tollerare e che la famiglia stessa pareva incapace di contenere seppur minimamente.

 - Nel mese di febbraio la famiglia non riusciva più a far fronte allo star male della figlia. Erano destabilizzati, spaesati. A terra. Sottoterra. I genitori, per mano del padre, mi scrivono:

Cara Dottoressa, la situazione preoccupa non poco… trattiene la pipì… ci accusa di non aiutarla… mugolii e urli. Da meno di una settimana ha iniziato a fare dei rituali mai visti di un misto di contrazioni muscolari e gesti inspiegabili… salta, sembra pazza””

Rispondo loro, con una mail, mettendo in risalto alcune riflessioni fatte da Oretta che forse ci possono aiutare a capire…Oretta parla, infatti, di: ”” paure che mi paralizzano. Tanti pensieri fitti nella mente, impossibilità a dipanare la matassa””. Come pure, nella stessa mail, li rendo consapevoli del fatto che Oretta sa, ha capito la loro sofferenza. E racconto:

” Ha parlato in maniera affettuosa della sorellina… del fatto che in questo momento, è molto preoccupata per le sue condizioni di salute…

Come tutta la famiglia”… ho aggiunto io.

Sì - mi ha risposto Oretta - ma io non posso farci nulla, non lo faccio di proposito, anch’io sto male e non so perché”.

Tuttavia questo ulteriore aggravamento (nonostante le rassicurazioni del Dottor Ettore che da un disturbo più grave, da un vero e proprio “crollo”, si poteva adesso parlare di un disturbo ansioso, più gestibile e contenibile), i genitori vedono, come unica possibilità che dia loro sollievo, il ricovero in un reparto psichiatrico.

”…Io non vedo molte alternative se non quella del ricovero – scrive il babbo, i primi di febbraio - Spero di sbagliarmi, ma fateci sapere quanto prima perché la situazione è pesantissima per tutta la famiglia; è diventata insostenibile, per risolvere il problema della cacca e della pipì siamo tornati al vasino…”.

Fortunatamente, il Dottor Ettore dribla, accoglie sì la richiesta dei genitori ma riesce a far ricoverare la ragazzina nel reparto pediatrico. E forse questo ricovero, l’aver trovato un luogo, che contenenesse l’esplosività, il panico, l’impotenza (e molti altri innominabili emozioni e sentimenti) della famiglia, ma segnalasse anche, coi suoi ritmi esatti, con il farmaco che doveva essere preso, con la inevitabile “durezza” di un reparto ospedaliero, il limite del contenitore (cioè il non pensare il contenitore solo come dotato di una ricettività senza limite), ha aiutato sia Oretta sia i genitori.

Tanto che verso il mese di aprile, Oretta inizia a stare meglio ”” questo – scriverà il babbo – oltre a farci un enorme piacere ci stimola a continuare e ci aiuta molto moralmente””.

Nella bottega di due Contastorie

Riflettendo – sempre via mail – coi genitori sui miglioramenti di Oretta, si conveniva che, di sicuro, il gatto aveva svolto e continuava a svolgere una funzione importante. Si è trattato – per dirlo con le parole di Dina Vallino – di “curare l’immaginazione con l’immaginazione”, secondo un principio omeopatico della mente.

Ma non solo. Il gatto è la parte più piccola, più fusionale, più “smarrita” di Oretta. Come pure la sua parte più sognante, più creativa e narrativa. Con il gatto, infatti, Oretta si sbizzarrisce fin da subito. Si lascia andare a fantasie, si addentra fra i sentimenti di perdita che la turbano, o fra le paure.

“E che ci siano queste angosce e paure e esitazioni – sottolineerò in una mail ai genitori - è per me un dato positivo. Il sintomo così incastrato nel corpo si sta evolvendo verso qualcosa di più simbolico, di più dicibile.

Dire ho paura non vi pare meglio che essere squassati dalla paura senza sapere minimamente dominarla?”- scriverò loro, precisando che: “L’obiettivo alto che abbiamo adesso è proseguire ovviamente su questa strada e riportare Oretta verso la capacità di sognare, fantasticare e immaginarsi il suo futuro. Come ogni ragazzino della sua età ha diritto”.

 Non nascondo, poi, lo stupore nel dire che la stessa giornata nella quale avevo inviato questa e-mail ai genitori, la ragazzina, dopo aver guardato con curiosità alcuni libri per ragazzi che ho in studio, "ha parlato di tante storie che lei aveva scritto e che la mamma le aveva messo da parte, da qualche parte e che forse avrebbe anche potuto rintracciare”. Informo di questo i genitori, sempre con mail, senza tralasciare come in maniera malinconica Oretta avesse osservato che lei adesso aveva: “perso la fantasia”… Per questo, aggiungo: "le ho lanciato la proposta di scrivere storie insieme, da tenere in un quadernone, in studio... Per ora abbiamo scelto solo il titolo "Nella bottega di due cantastorie...".

 Mi piace molto l'idea del libro, abbiamo tutte le storie che Oretta ha scritto fin da piccola, e anche i disegni", mi risponderà il babbo, a brevissimo giro di posta.

Un libro, una storia, un’invenzione: si tratta di una svolta nella cura, lo avvertiamo tutti, di un giro di pagina importante.

Inutile dirvi che il protagonista della storia sarà un gatto! – scriverò ai genitori -Tanto che in copertina abbiamo apposto il timbro del mio gatto…

Il gatto protagonista si chiama Gigio e vive in un appartamento, in un hotel, dotato di ogni comfort.

Ci siamo divertite molto e Oretta adesso vuole fare ogni volta un’avventura nuova.

Informo, poi, i genitori di come andremo adesso a lavorare, spiego che la loro figlia sarà impegnata con me nella costruzione di una storia di pura invenzione e fantasia che piano piano dovrebbe

portare alla luce contenuti più sotteranei esistenti nella mente di Oretta che non riesce a esprimere diversamente che con i sintomi il proprio malessere”.

Ai genitori racconterò poi, via via, le avventure di Gigio, in tono giocoso, cercando di renderli partecipi del clima della seduta:

Oplà... noi siamo andate in Francia, nella cittadina di Lillà! Oretta è presissima dalla storia del gatto Gigio… A bordo del camion, Gigio con altri 5 gatti va alla ricerca del suo Mattia (un pupazzino cui era affezionatissimo e che è andato perduto).

E' evidente che attraverso la storia – provo a decodificare ai genitori - la ragazzina sta conducendomi in una zona della sua vita mentale che le preme molto: la perdita e il ritrovamento.”

Sono passati in fondo pochi mesi dalla rottura, dal crollo, di Oretta – certo un’eternità per chi li viva ogni giorno – ma Oretta sta meglio, ha ripreso brillantemente la scuola, dorme nella sua camera. Adesso può fare a meno dei suoi rituali ossessivi e in seduta lei stessa osserverà: “sto meglio dei tic, ma sono più impaurita, ho paura che mi scoppi il cuore, di morire. Forse prima avevo i tic, ora sono più scoperta”!

Con gusto scrive le avventure del gatto Gigio e ancora racconta di sé e non di rado mi trascina in un mondo fatto di vampiri, luoghi oscuri, morsi sulla pelle e uccisioni, forse mi sta portando nel suo“luogo immaginario”, dove vivono e sono all’opera i mostri che l’hanno devastata.

 Recentemente, a Pisa, Antonino Ferro (come già Dina Vallino in Raccontami una storia) ha parlato dello sviluppo del mentale attraverso la narrazione, focalizzando il tema della trasformazione, attraverso il registro narrativo, del sintomo in sogno.

 E dal sintomo al sogno… è sicuramente la via che con Oretta abbiamo intrapreso e che ancora stiamo percorrendo.

 I genitori: dal dramma alla condivisione dell’impensabile

Mi sembra, adesso, importante sottolineare come, nel proseguire del lavoro, sempre si sia cercato di mettere i genitori in grado di conoscere i pensieri della figlia, di sentirla meno estranea. Oretta era informata di tale scambio di mail e ne pareva rassicurata.

 Si è trattato di un lavoro paziente che ha ripercorso con loro, seduta dopo seduta, quanto Oretta raccontava: la paura che il cuore cessasse di battere, di morire improvvisamente, o delle domande che poneva:

se io da bambina – per esempio - avevo mai avuto paura: ripeto le sue stesse parole “paura del nulla, paura di morire”.Le ho risposto di sì, che certe volta da piccola avevo paura, se il cuore batteva forte che magari si fermasse, non capivo come funzionasse il mal di gola, il non respirare, certe volte … Si è sentita, penso, rassicurata. E mi ha detto che lei si sente sempre stanca…

E poi ha paura, paura di morire. Insieme abbiamo ipotizzato che questa ansia interna molto forte le tolga energie e quindi il suo sentirsi stanca sia normale.

Così, ripensando alla seduta, mi sembra che se da un lato la sintomatologia e il malessere persistano, stia sorgendo una differente capacità critica della ragazzina di guardare a se stessa e anche una fiducia negli altri, nel poter essere aiutata da chi le sta vicino…”

Sulle domande che Oretta pone ci confrontiamo:

“Mi chiede – per fare un altro esempio - se conosco l’ansia e la paura. Le rispondo di sì, e cerco di differenziare un’ansia che può essere dovuta a cose concrete, quotidiane (riunioni, occuparsi del gatto!!!) e un altro tipo di ansia legato a qualche cosa che succede dentro. Un’ansia senza nome, che può fare più paura perché non riusciamo a darle nome o confine preciso.

Oretta mi dice che la sua ansia somiglia a questa, non sa perché ce l’ha, come viene e come possa andare via. Aggiunge che anche il dottore Ettore le ha detto di stare tranquilla, l’ansia passerà lavorandoci sopra…”

Racconto e mi soffermo con i genitori sulla sua paura di morire, all’improvviso, che il battito del cuore cessi… Lo racconto cercando di pensare insieme con loro, di far toccare con mano la difficoltà che anche un terapeuta ha nel capire, che nulla è scontato… Scrivo:

Mi pare di iniziare a capire che ci possa essere in Oretta un’ansia molto forte di fronte alla possibile perdita del ritmo, della continuità…In seduta, le mimo il battito del cuore: sempre uguale…un battito che dà sicurezza. E parliamo della sicurezza che danno certe abitudini, certi affetti. E lei mi risponde portando di nuovo la perdita di Tigro e mi domanda notizie del mio gatto.

E’ un momento della seduta molto importante, più mentale. Un momento che forse ci fa intuire qualcosa che possa sottostare all’ansia senza nome di Oretta: il dolore della perdita di sicuro, ma quale più antica perdita di sicurezza o ritmo, vedremo.”

E i genitori rispondono con sempre più convinzione alle mail:

” Cara Dott.ssa, sono felice di leggere questo suo dettagliato mail a proposito della situazione di Oretta …Ovviamente chi vive con lei tutti i giorni si accorge anche dei piccoli passi, ma non mancano i momenti di sconforto, lo ammetto.

La consapevolezza e l’ammissione dei suoi disturbi e delle sue paure, questo suo cominciare ad aprirsi sono indubbiamente fatti molto positivi e di questo siamo molto felici…”

E proseguono, i genitori, si appassionano loro stessi alla corrispondenza, e la usano per informare, aggiornare, su quel che succede:

”… Stamani all’uscita della scuola (era entrata alle 10 e 30) ha avuto un attacco di panico (con il cuore che mi pareva si fosse fermato, ha detto). Anche la paura delle malattie e di diventare matta sono per noi delle novità in quanto non ne ha mai parlato”

E successivamente (siamo al marzo 2011) loro stessi arriveranno a porsi domande:

Ma da cosa dipendono queste manie (riferedosi ai rituali mattutini, al blocco dell’avambraccio sinistro, alla lentezza estenuante….) perché le deve fare ogni mattina?””

Domande alle quali provo a dare risposte: ”” … si tratta di rituali, di carattere ossessivo che servono a tenere a bada le angosce profonde, di tipo psicotico, che purtroppo Oretta avverte dentro di sé come pervasive della sua intera personalità (vi ricordate quando abbiamo parlato – anche con il Dottor Ettore – della sua angoscia di morte, o di scoppiare tutta?).. Avete sentito parlare delle persone che si lavano le mani 10 volte, che tornano indietro 30 volte per vedere se il gas è chiuso? Ecco, per dirvelo in maniera poco ortodossa, quel che succede a Oretta sta dentro a questo tipo di problema…”

Il tutto, cercando sempre di lasciare spazi, di non saturare, di lasciare che la loro mente provi a rampicare, come si fa in montagna, per raggiungere una meta, insieme certo ma consapevoli dell’importanza di attivare ciascuno le proprie forze.

Verso una famiglia solidale. Una mail, una sorpresa, un sogno…

Sebbene il lavoro clinico con Oretta sia ancora in divenire, e noi tutti siamo ben consapevoli della vulnerabilità estrema della ragazzina, è sicuro che l’ultilizzo della consultazione partecipata prima e di una psicoterapia partecipata con i genitori successivamente abbia portato alla mutazione del clima emotivo che avvolgeva, nella disperazione, la famiglia.

Leggiamo, in questa direzione, una mail scambiata con i genitori prima delle vacanze estive e dopo che nella mattinata avevamo avuto un incontro.

Cari genitori….

Oggi, è stata una seduta quasi commovente. Per prima cosa la ragazzina mi ha parlato della collezione delle palle di neve che vede nel mio studio. E mi ha chiesto quanto lontana io fossi andata, nei miei viaggi. Ha visto il Canada, New York. E si è meravigliata.

E questo è il tema che proprio stamani con voi genitori si era affrontato relativo a distanze e a distacchi. Oretta mi ha parlato del fatto che le fa piacere andare via, in vacanza dai nonni, e contemporaneamente ha paura. Andare e tornare, staccarsi e attaccarsi. Proprio alla vigilia di una pausa estiva… E proprio voi, stamane, mettevate in luce una sorta di “appiccicamento” tipico di Oretta. Il suo estremo bisogno di vicinanza fisica.

Nella seduta precedente, lei era spaesata impaurita, stava seduta sul bordo del divanetto, proprio come le prime volte. Però mi guardava, come ad aspettare da me un cenno di vicinanza.

Non volevo rompere le regole terapeutiche ma vi confesso che l’avrei presa in braccio per consolarla…

Allora ho pensato a un gioco: batti 5. Le ho teso la mano e le ho detto: batti 5 e lei mi ha sfiorato la mano. Ha battuto 5 e il contatto c’è stato, ma era leggero, non implicante. E per lei è stato rasserenante.

Continua poi Oretta a raccontare della sorellina di Tigro, di Trilly. Del fatto che Oretta le da mangiare, ci gioca. E questo – ho detto a Oretta – è un po’ come continuare a prendersi cura di Tigro, il suo gattino disperso, e a tenerlo nel cuore tramite la sorellina.

Ed è un modo anche per parlare con me della sua famiglia, quella che adesso Oretta sente vicina e solidale. Anzi, come mi ha detto lei stessa, una famiglia “che non ha più paura di me”.

La trasformazione si è avviata e ha trovato tenera manifestazione in una mail che, alla ripresa settembrina delle sedute, mi ha colto di sorpresa. Sullo schermo mi è apparso un gattino, piccino piccino, tigrato, col nasino rosa e gli occhi socchiusi, poggiato teneramente sulle gambe di Oretta e da lei sostenuto con un abbraccio. Poche le parole di accompagnamento per l’arrivo di Fortunato:” Ecco, dottoressa, il nuovo arrivato in famiglia”.

 E quindi, rendendo omaggio ai nostri amici a 4 zampe (che vivono nella stanza, o nel cuore o nella fantasia di tanti di noi), si potrebbe dire che il gatto ha assolto la sua funzione di cocchiere nel viaggio verso il sogno intrapreso in compagnia di Tolstoj.

Ringrazio il Dott. Enrico Biagioni, Direttore U.O. -Neuropsichiatria Infantile A.S.L.3 – Pistoia, per la condivisione passo passo di una situazione così disperante e il sostegno che mai mi ha fatto mancare.

*  Il saggio è stato pubblicato in Infant-Observation-Infant Research (storie cliniche, applicazioni, ricerche)  (a cura di Dina Vallino e Marco Maccio'),  Quaderni di psicoterapia infantile n.64, Borla,  Roma 2012. L'Autrice è psicologa, psicoterapeuta infantile con formazione psicoanalitica. E' membro del gruppo toscano della SPSIA (Società di psicoterapia psicoanalitica per l'nfanzia e l'adolescenza) e della sezione italiana della AEPEA (Associazione europea di psicopatologia dell'Infanzia e dell'Adolescenza). Vive e lavora a Pistoia.

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